Circola da alcuni mesi presso la nostra comunità un pregiudizio diffuso e affrettato, causato dalla scarsa dimestichezza che i nostri concittadini hanno con le dinamiche dell’arte contemporanea e le sue pubbliche committenze. Sulla scia delle iniziative di Comuni ben più facoltosi ed estesi come Napoli Salerno e Benevento, anche l’amministrazione teanese ha deciso da un po’ di tempo a questa parte di arricchire il patrimonio urbano della Città commissionando opere di alto valore storico ed artistico e dalla intensa capacità di attrazione turistica.
Come non elogiare lo slancio suprematista del nuovo allestimento di piazza Giovanni XXIII, con la sua accesa dialettica tra vuoti e pieni, tra superfici curve, convesse e ortogonali, e con le sue monocromie severe, sublunari, che sembrano preludere ad una nuova era di approdi interstellari? Neanche Stanley Kubrick, ai tempi di “2001: Odissea nello spazio”, avrebbe saputo immaginare una location più pittoresca!
L’intoppo consiste in questo: che parte della popolazione teanese (la meno avveduta e più lontana dai circuiti troppo selettivi del sapere moderno: per meglio dire, la più tamarra), ha scambiato questa magnifica installazione site specific per quello che essa non mirava assolutamente ad essere: una piazzetta, per l’appunto. Ma che idea retriva, bislacca ed irriconoscente! Di qui le critiche, le polemiche, gli articoli di giornale; le biasimevoli petizioni a null’altro finalizzate che alla rimozione di questo capolavoro incompreso…
Lo stesso errore grossolano si sta ripetendo per altri interventi, non meno prestigiosi, messi a punto con i cantieri degli ultimi mesi: basti pensare a quella meravigliosa sequenza di graffiti urbani, tracciati su blocchetti di porfido incastonati nel terreno a comporre un mosaico in stile NeoGeo, che si incontrano ad intervalli regolari lungo il tracciato di viale Italia.
Lo crederete mai possibile? Qualcuno li ha scambiati addirittura per delle strisce pedonali! Come se non fosse trasparente, da parte degli autori, la volontà di esplorare una possibilità di sinergia e di convivenza tra gli sviluppi del minimalismo americano e i postulati più “continentali” dell’Arte Povera. Delle istanze dell’Arte Povera, poi, l’opera in questione ha assorbito la caratteristica più peculiare ed importante: il rifiuto del manufatto artistico inteso come unità sovratemporale e trascendente, e quindi immutabile nel tempo. L’opera deve interagire con l’ambiente circostante, accoglierne le sollecitazioni anche fisiche, evolversi, mutare, deperire. Come le foglie di lattuga di Anselmo, o le celebri cere liquefatte dal neon di Mario Merz, anche queste fantomatiche strisce sbiadiscono a poco a poco consegnandosi ad un destino di cose mortali, assumendo lo stesso pallore dell’asfalto circostante e scomparendo languidamente alla vista dei passanti e degli automobilisti.
Cosa c’è di più poetico, di più struggente, di questa lenta destrutturazione cromatica? I più smaliziati avranno già compreso che si tratta di una rivisitazione in chiave concettuale del tema barocco della Vanitas, una meditazione per immagini della caducità dell’Uomo e delle sue opere terrene.
Ed è geniale l’accorgimento adottato di posare i “sanpietrini” su sottofondo in calcestruzzo con rigidità maggiore dell’asfalto: in questo modo, le azioni meccaniche dovute al passaggio degli autoveicoli accelerano il dissesto e determinano l’immediato distacco dei sanpietrini dal suolo, permettendo ad ogni passante di prelevarne un campione e di portarlo a casa, come prestigioso souvenir d’autore… Qui siamo addirittura al New-Dada: questo sì che vuol dire rendere “pubblica” l’arte!
E che dire delle fascinose voragini che si stanno disegnando ai bordi dell’installazione? Ricordano molto da vicino i cretti materici di Burri, ma anche (perché no) certe false prospettive di Anish Kapoor, certe ardite estroflessioni di Bonalumi e Castellani.
Tutta l’operazione, si badi bene, è costata alle nostre pubbliche tasche poco più di 20.000 euro! Cifra tanto più irrisoria se si prendono a riferimento le battiture d’asta a dir poco vertiginose di un Cattelan, di un Mimmo Paladino, di un Damien Hirst…
A proposito di quest’ultimo, c’è una chicca sensazionale che lo riguarda: pare infatti che l’artista londinese, celebre per i suoi animali imbalsamati immersi in vasche di formaldeide, abbia proposto alla nostra Amministrazione un progetto assolutamente inusuale e avveniristico: l’intera Giunta Comunale, opportunamente criogenizzata ed immersa in una piscina di circuiti neuroelettrici ad impulso autogenerante, verrà collocata nella sala consiliare in modo da poter amministrare il paese fino alla fine dei tempi. Titolo dell’opera: “Thousand years – L’avvento del Regno Millenario”.
Quello che non è riuscito ai Greci, ai Romani, ad Hitler e a Carlo Magno, sta per verificarsi finalmente da noi… E stiamo ancora a preoccuparci di piazzette, di immondizia, di verde pubblico e attraversamenti pedonali?
Emiliano D’Angelo – Associazione Città Sottili