E se la donna degli anni Venti e Trenta resta al centro del desiderio
maschile, allo stesso tempo sembra scoprire “di poter essere
protagonista attiva della nuova società”. Alcuni miei scritti toccano
anche alcuni aspetti della bellezza femminile in Egitto all’epoca
della XVIII dinastia, sfiorando anche alcuni aspetti della bellezza
maschile (Tuthankhamon). Si tiene conto della cosmesi,
dell’abbigliamento, delle acconciature, dei monili. Analizzando le
varie cure che gli antichi Egizi, i Romani e gli Italici romanizzati,
Sidicini in prima battuta, prodigavano al loro corpo, si
approfondiscono così anche alcuni aspetti della vita quotidiana e
delle relazioni sociali e personali che intercorrevano tra uomini e
donne nell’antichità. Altro riferimento è la sfinge, di cui ammiriamo
con rinnovato stupore due splendidi esemplari apotropaici nell’atrio
del Duomo di Teano.
Con la diffusione delle coltivazioni agricole e la costituzione dei
primi insediamenti abitativi di notevole rilievo prese piede anche
l’idea mitica e religiosa di una divinità femminile, signora della
natura, degli animali e della vita stessa nell’accezione più ampia del
termine. Basti pensare, per localizzare il fenomeno, alle Madri del
museo campano di Capua, a Marìca antichissima dea degli
Ausones-Aurunci il cui culto si diffuse alle foci del Liri, il
Garigliano di oggi, prima in un lucus, bosco sacro, spazio aperto e
libero a ogni espressione cultuale, commerciale, intessuta di mille
relazioni e poi in uno spazio circoscritto, il tempio. Basti fare
mente locale a Cerere/Demetra venerata anche a Teano e di cui abbiamo
testimonianze epigrafiche (la stele di Staia Pietas sua grande
sacerdotessa in largo S.Benedetto presso Palazzo Broccolo). La magia
che le donne potevano sprigionare col parto veniva a costituire una
valenza mistica, sottolineando così l’alto valore del ciclico
rinnovamento della natura. Il segno che conduce alla luna appartiene
agli albori dell’umanità. Si radica nel genio artistico dei primi
esemplari di homo erectus, addirittura nel neolitico al quale
appartengono le “Veneri steatopigie”. L’uomo antico era rimasto
affascinato dal mistero della donna e della maternità e la riprodusse
in un blocchetto di pietra.
A quelle “Veneri” seguirono le raffigurazioni della Grande Madre.
Condivideva con la cosiddetta Venere steatopigia, l’opulenta
rappresentazione di una femminilità esasperata: gli attributi sessuali
erano rimasti invariati nonostante l’indubbio progresso
dell’espressione artistica. Così spuntano e si moltiplicano. Ad
esempio le raffigurazioni muliebri dai numerosi seni delle statue
provenienti dalla cultura ittita in Anatolia.
Viene elaborata “Ku-Ba-Bah”; e questa subito diventa “Ku-Ba-Lah”, poi
definitivamente canonizzata in Cibele.
Raramente viene raffigurata isolatamente: in Egitto, Cibele sarà
chiamata Iside e spesso si vedrà raffigurata nell’atto umanissimo di
allattare un bambino, ricchissima di simbologie sottintese, divina
nella sua essenza. La Divina Iside, il cui culto si diffuse anche a
Teano sugli scudi dei legionari provenienti dall’Egitto o sulle veloci
triremi di mercanti levantini, è la più classica rappresentazione
della femminilità. Anche l’uomo del neolitico aveva capito che
entrambi gli elementi maschile e femminile, tra di loro complementari,
erano necessari per produrre la vita.
Essi, tuttavia, non operavano pariteticamente, avevano sola funzione
fecondatrice, tipo i fuchi per l’Ape Regina; dopo aver prodotto
l’effetto doveva essere sacrificato. A Creta l’atleta che supera con
un balzo il toro non è la raffigurazione di una corrida ante litteram,
esprime la vocazione al sacrificio del Toro in una sarabanda di vita,
morte, rinascita.
Nei miei tre scritti Fulgore di Teano, Luci nella notte di carattere
storico-antiquario e Come la Monaca di Monza? “Emergenti da mille
cunicoli di storia, salgono uomini e donne a reclamare una
cittadinanza che non è solo da Museo” (Dal Prologo di S. E. Mons.
Aiello a Luci nella notte). Soprattutto donne di Teano antica,
immortalate ora nell’eternità della pietra. Balzano dalla profondità
della storia anche dee, ninfe, sacerdotesse, grandi spose reali dei
Faraoni d’Egitto. E su tutte emerge, seppure sfumata e discreta la
bella sovrana Nefertiti, quintessenza fin troppo abusata dell’eterno
femminino. Perfino una marca di sigarette egiziane reca il suo nome
con la classica immagine, ora al museo di Berlino. “Commovente la
lastra della dolce Veneria fossilizzata negli spechiombrosi della
venerabile cripta di S. Paride, trasudante salnitro e una dismagante
tristezza, pioggia di lacrime del desolato coniuge Victor che fece
incidere su pietra povera, per quattro soldi, parole di rimpianto per
una moglie devota” (“Luci nella notte”, pag. 130) Riemerge l’incantato
ratto di Europa in un bel bassorilievo apposto troppo in alto, per
essere considerato, nell’alta parete di un’aula che ripropone in
chiave riqualificata il perimetro della longobarda cattedrale del
Vescovo Mauro, benedettino di frontiera, servo dei servi di Dio, che
pianse pie lacrime innalzando la sua cattedrale, trionfo di colonne e
marmi. Dalle pieghe d’ombra del tempio di Cerere sembra ancora uscire,
di notte, madre del mistero e della discrezione, Staia Pietas, sua
principale sacerdotessa, seguita dalle giovani consorelle, la luce
della luna tratteggiante i loro passi di nuvola, mentre impallidiscono
Cassiopea, Arturo e Vega gli astri propizi alla buona sorte. Trebia
Eleuteria, Socidia Memmia, Herennia Paphia, Ursidia, Veneria, Fufidia
,Valeria Secundilla, Flavia Coelia e Nonia Prisca inclite sacerdotesse
di Juno Populona, Helvia Galla, immortalata in un’epigrafe riportata
da Mommsen e rinvenuta presso la monumentale chiesa di S. Francesco,
Aelia Crispilla che scioglie un voto a Giunone Pronuba che le aveva
propiziato le nozze, Geminia Felicita, Geminia Marciana, Aemilia umile
cristiana della cripta di S. Paride, l’ignota domina dai tratti
eleganti e nobili eternata col coniuge in una splendida stele del
raccolto cortile di Palazzo Mazzoccolo, tutte Teanesi, vengono così ad
acquistare una loro consistenza, una loro carnalità, a configurare una
identità incisiva e qualificante. Indimenticabili personaggi femminili
di Teano,“del Paese dei Sidicini, le cui donne amavano ornarsi di
oreficerie preziose in vita e in morte”,i cui “ritratti rituali”,
illustrati genialmente da Luigi Spina e magistralmente “raccontati”
nell’omonimo bel volume dall’insostituibile Dottor Sirano,
ingentiliscono e caratterizzano il nostro superbo Museo Archeologico.
E ne sono prova sostanziale gli ori di fine esecuzione, provenienti
dalla necropoli urbana della Gradavola, custoditi ora con cura,
dedizione, competenza in quello scrigno stupendo che è il locale
Museo. E che dire poi della Monaca di Monza, al secolo Maria Anna de
Leyva, conturbante giovane di origini nobilissime, divisa tra due
ragioni: quella ereditaria che sacrificava i suoi ardori e le sue
aspirazioni e quella dell’eterno femminino che le ispirava una
lancinante foga di vivere, di amare e di essere amata. Donna bella e
giovane, dagli occhi fondi e magnetici, riflettenti notti deliranti,
tra i chiaroscuri di cadute e pentimenti. Notti frementi e
contraddittorie che non riuscivano a illanguidire il suo esuberante
sangue spagnolo, forse anche arabo.
E tra tutto questo turbinio di donne, Teano, magica e incantevole come
velo di sposa, “velo nuziale che nasconde e incornicia una terra da
cui trarre orgoglio perché mirabile sentinella della Porta Alta della
Campania Felice”*
Giulio De Monaco