Il recente ennesimo episodio di un violento attacco ai medici da parte dei familiari di una persoma alla quale non son riusciti a salvare la vita, mi fa venire in mente alcuni aspetti del loro travagliato lavoro, del quale parlai anni orsono sul “Il Sidicino” . Lo ripropongo al “Il Messaggio”.
“La musica della radiosveglia mi fa sobbalzare; premo di corsa, procedendo a tentoni, il tasto snooze.
Mentre il caffè comincia a gorgogliare ascolto le prime notizie della giornata, una più triste dell’altra; con angoscia, e senza capirne un’acca, seguo l’andamento dell’indice Nasdaq di New York e del Cac di Londra, trepidando se il Nikkei di Tokio ha superato l’Hang-seng di HongKong, con un occhio all’indice Mibtel e l’altro al Down-Jones.
Cambio canale e so con certezza il tempo che farà a Bogotà, ma ancora non so se al di fuori della mia finestra piove o c’è il sole. I titoli dei giornali si affastellano ripetendo tragedie nazionali e mondiali, stupri, rapine, omicidi, delitti individuali e delitti di “branco” e chi ne ha ne metta.
Userò lo shampoo alla camomilla o quello alle erbe cinesi? Ed i denti come li lavo: con il dentifricio che non fa venire il tartaro o con quello che rimuove la placca?
Farò colazione con i Kellog’s! O sono meglio gli smarties?
Accendo il computer, ormai mio fedele strumento di lavoro che ha sostituito lo stetoscopio ed il fonendoscopio: mi ci vuole il “nick-name” e la “password”, la prima di una lunga serie. Il computer si è acceso: per entrare nel programma d’uso mi ci vuole un “codice utente” ed un’altra password. Ci sono!
Comincia il lavoro.
Alle dieci devo fare un bonifico, per via telematica. Basta entrare in internet, poi un altro “codice utente”, il codice “pin” ed infine il codice della “keycard”: con un gran colpo di… testa li ho ricordati tutti. Ci sono, accedo alla funzione bonifici: mi ci vuole il nome del destinatario, poi il CAB e l’ABI, il numero di conto corrente, il CIN ed infine, ciliegina sulla torta, il codice IBAN, appena 27 tra cifre e lettere, ed il codice BIC. Come Dio vuole è andata: tempo medio, tra errori, cancellazioni e reiscrizioni, santi e madonne invocate a sostegno, circa venti minuti.
Un paziente mi racconta i suoi dolori; so per scienza e conoscenza che avrebbe bisogno del tale farmaco, ma è necessario il “piano terapeutico” prescritto dallo specialista tal dei tali, che potrà visitarlo solo tra due mesi; glielo invio. Il farmaco potrò prescriverlo solo allora, se il paziente sarà ancora vivo.
Un altro paziente mi descrive minutamente il suo mal di stomaco: ci vorrebbe il farmaco x, ma c’è la nota Aifa e se non fa quel dato esame non lo può avere. Lo invio a fare l’esame; il mal di stomaco gli passerà quando avrà ottemperato. E poi non ne ricordo l’ICD9 (il codice di identificazione del farmaco): ma quanto ce ne può fottere a tutti e due dell’ICD9? Lui ha il male ed io il dovere di farglielo passare; mi pare che basti. Nooo! C’è la spesa sanitaria da rispettare; e mi arrabatto a trovarne uno che costi meno, ma della cui efficacia non ho certezza.
Stampo la ricetta, ma devo attentamente badare che il numero in alto a destra non esca dalle apposite caselle, che quello in basso a sinistra sia scritto in nero, che quello al centro sia il numero giusto, che ho scritto la nota corretta, che ho inserito il numero di esenzione per reddito o per patologia, attento a che non sia scaduto, perché anche le malattie scadono!
Ho sbagliato, la ristampo. Ma della sbagliata che ne faccio? La devo triturare nel tritadocumenti che ho dovuto acquistare per la legge sulla privacy; e mi immagino già qualcuno che va a frugare tra l’immondizia ricomponendo minuscole striscette per il gusto sadico di sapere se Tizio ha l’ernia inquinale o la sifilide.
Il suo reddito può invece tranquillamente ricercarlo su Internet.
Ma poi dove la butto quella ricetta triturata: nella busta celeste, in quella bianca o in quella nera? La caramella che sto succhiando mi ha stufato, ma continuo a tenermela in bocca perché non so in quale sacchetto gettarla. Nell’umido, nel riciclabile, in quello mezzo e mezzo?
Un inconfondibile tanfo accompagna l’ingresso di un vecchietto: il farmacista non ha potuto dargli le pillole prescrittegli per la diarrea perché non aveva con sé il tesserino magnetico e non ha potuto rilasciargli lo “scontrino parlante”: le conseguenze sono state immediate ed olfattivamente disastrose. Viva la burocrazia!
Torno finalmente a casa.
Fuori alla porta, raggomitolato con grazia divina, un gattone rosso si gode il tiepido sole primaverile; era lì anche stamattina.
Mi guarda stiracchiandosi e sbadigliando.
Forse pensiamo la stessa cosa: chi di noi due è l’animale “intelligente”?
Farò una ricerca su Internet: sempre che mi ricordi il codice di accesso, il nick-name, il pin, la password, l’abi, il cab, l’iban, il cin, il bic, il… tric-trac e la botta a muro!!! Viva l’Italia! Viva il Progresso.”
Claudio Gliottone