Era ormai notte fonda quando Damiano, rientrando a casa, o meglio in chiesa, dove riposava ormai da anni ed anni nella sua nicchia, urtò inavvertitamente contro un secchio pieno di un liquido densastro la cui natura, al buio, ebbe difficoltà a riconoscere. A dire il vero non era proprio al top delle sue capacità mentali, vuoi per la avanzata età, milletrecento anni cominciavano a farsi sentire, sia perché aveva trascorso la serata, non visto naturalmente, ad assistere ad una riunione del gruppo consiliare di maggioranza. E la cosa gli aveva ulteriormente ingarbugliato gli ormai striminziti neuroni; chi creava un gruppo nel gruppo e poi lo “sgruppava” , chi ne creava un altro ma senza costrutto veruno, chi voleva fare il vicesindaco, chi minacciava di smuovere cielo e terra e poi si accucciava tranquillo con la coda tra le zampe, chi cantava, chi suonava e chi …perepeppe! Capirci qualcosa era sicuramente difficile, anche per un santo come lui!
Afferrò una lampada votiva posta accanto all’altare e si chinò a guardare le scarpe e la parte inferiore della tunica, tutta inzaccherata di una vernice color rosso vermiglio!
“Cosimooooo! Ma che cacchio è sta roba?”
“Uh, Damià, t’ sì arritirat?. E’ vernice, vernice rossa”
“A parte il fatto che potevi anche non lasciarla in mezzo alla chiesa, ma, perbacco, a che ti serve la vernice rossa?”
“I cartelli, Damià; sto facendo dei cartelli”
“Dei cartelli? E a che ti servono dei cartelli?”
“Guarda leggi : – Teano : città in vendita -. Li voglio mettere su tutte le strade di accesso alla città e spero proprio che qualcuno sia attratto dall’offerta”
“…attratto dall’offerta? Ma perché ti vuoi vendere Teano?”
“Siiii, Damià: qua se aspettiamo un altro poco la città scompare del tutto, smembrata e senza più nulla di suo, e noi dove ce ne andremo? Se qualcuno se la compra almeno eviteremo ulteriori perdite; sarebbe suo interesse. E nostro.”
“Tu ti vuoi vendere Teano?”
“Si, Damià; altri lo hanno già fatto un pezzo per volta. Io mi voglio vendere tutto intero quel poco che rimane!”
“Ma tu sei folle; ma lo sai che è un reato? E’ un reato amministrativo: “illecito arricchimento” si chiama. Interviene subito la Guardia di Finanza….”
“E dove sta più a Teano, la Guardia di Finanza?”
“Va bè, va bè, interviene la Tenenza dei Carabinieri”
“E dove sta più a Teano, la Tenenza dei Carabinieri?”
“Interverrà la Polizia di Stato.”
“Ma quella non c’è a Teano, sta a Sessa”
“Si, ma qualcuno pure ti ci porterà in Pretura o di fronte al Giudice di Pace…”
“Ne, Damià, e dove stanno più a Teano, la Pretura o il Giudice di Pace? Lo vedi che ho ragione io?”
“Ma tu sei malato, da ricovero immediato in Ospedale”
“Azz, ma allora sì proprio scemo, Damià? E dove sta più a Teano, l’Ospedale? Come vedi ho ragione io: vendiamocelo questo paese. Vendiamocelo tutto in blocco con tutti i cretini che ci stanno dentro, noi compresi, ed almeno gli garantiremo un futuro migliore. A lui ed a tutti i suoi abitanti futuri: potrebbe sempre comprarselo Sessa, dove già c’è gran parte di quello che avevamo noi, o Carinola, o Piedimonte e solo così potremo salvarci.”
Damiano, che nel frattempo si era tolto la tunica inzaccherata, sprofondò sul suo trono ed abbassò pensoso la testa; la scosse più e più volte ed alla fine, mentre una lacrima furtiva gli rigava una guancia, guardò Cosimo con infinita tristezza, ed esclamò:
“Hai ragione, Cosimo, hai ragione. In questo paese noi ci siamo da millessettecento anni, e ne abbiamo visti di tempi gloriosi per lui ed i suoi abitanti; erano tempi di laboriosità, di cultura, di orgoglio, di capacità, di preparazione, di voglia di vivere e di produrre, di voglia di difendere quel che si aveva e di potenziarlo; erano tempi di voglia di futuro. Oggi dov’è finito tutto questo? Non abbiamo saputo più difendere nemmeno il basalto delle nostre strade; anzi direi che qualcuno si è diabolicamente attivato perché altri ci espropriassero di tutto, mentre non erano certo incolpevoli quelli che giravano la testa dall’altra parte. Non abbiamo più niente, Cosimì; se non gli occhi per piangere. Non contiamo più niente, Cosimì; se non lo sporco obolo di una manciata di voti da affidare a questo o quello straniero, per impegnarci un futuro che sarà irrimediabilmente contro di noi. Hai ragione, Cosimì; hai ragione. Vendiamocelo questo paese; vendiamocelo. Almeno smetteremo di soffrire per lo stillicidio di una distruzione continua, inesorabile, progressiva. Vendiamocelo questo paese.”
E poi, silenziosamente, singhiozzando:
“Addo’ stanno i penniell’, Cosimì, che t’aiuto”.
Claudio Gliottone