E’ un freddo giorno di novembre, l’11 per l’esattezza. Veronika, stanca di vivere per motivi assolutamente semplici e comuni, tenta il suicidio assumendo una forte dose di sonniferi.
Ma non muore, bensì si sveglia a Villete, una clinica psichiatrica modernissima e costosa da cui nessuno era mai fuggito, in cui molti pazienti decidevano di restare lì solo per sfuggire alla loro realtà scomoda.
“Sono viva,” pensò Veronika. “Ricomincerà tutto da capo. Dovrò passare qualche tempo qui dentro, finchè si accorgeranno che sono perfettamente normale. Poi mi dimetteranno, e io rivedrò le strade di Lubiana, la piazza rotonda, i ponti, le persone che camminano lungo le strade, andando e tornando dal lavoro.
Poi arriva la diagnosi: i sonniferi hanno danneggiato il cuore irreparabilmente e lei non arriverà alla fine della settimana. In lei arriva, pian piano, la paura della morte, una paura inspiegabile, un senso di attesa verso qualcosa.
Conosce Zedka, matta normale, che le racconta di Einstein per spiegarle cosa siano un matto e la pazzia. Si scontra con Mari, uno dei membri della fratellanza e alla fine, quando tutto sembra perduto, scopre davvero il suo io e si innamora di Eduard.
I due scappano da Villete, pronti a vivere una vita normale, pronti a vivere ogni giorno come se fosse un miracolo.
Proprio così, perché Veronika non sa che in realtà il suo cuore è sano e che lei è vittima di un esperimento del dottor Igor, che ha scoperto che il rimedio all’amarezza del vivere è il coraggio di affrontare le situazioni.
Il romanzo è scorrevole, leggero, si legge tutto d’un fiato.
L’autore mette molto delle proprie esperienze in quest’opera, essendo anch’egli stato rinchiuso dai genitori in un ospedale psichiatrico.
Consigliato: a chi vede la diversità come un dono, una caratteristica imprescindibile dell’io, non una stravaganza o un problema. A chi ama le storie d’amore a lieto fine, che coinvolgono e fanno riflettere.