Continuiamo il discorso sulla modifica costituzionale che saremo chiamati a ratificare o respingere il prossimo 20 di questo mese; già nel precedente articolo abbiamo visto come questa modifica comporti una diminuzione dei collegi elettorali da 630 a 400 per i deputati e da 315 a 200 per i senatori con conseguente forte aumento della loro rappresentanza elettorale rispettivamente da 96.000 a 151.000 per i deputati e da 192.000 a 303.000 per senatori.
Le motivazioni portate a giustificazione sarebbero: un risparmio economico ed uno snellimento delle procedure legislative, dicono.
Orbene, il risparmio economico, a conti fatti, non sarebbe tale da giustificare un taglio che prevede una così vistosa riduzione della rappresentatività elettorale, oltretutto dovendo ricorrere ad una tornata referendaria che ha i suoi costi di per sé; se proprio l’intenzione fosse stata quella, si sarebbe potuto molto più facilmente agire su altri fattori, tipo il contenimento o l’abolizione dei vitalizi, la riduzione dei senatori a vita, per i quali potrebbe bastare solo l’onore della nomina, e non il relativo onere a carico dello stato, a compensare anche tutto il lustro che potessero aggiungere al Parlamento con le loro benemerenze, e perché no, anche una coraggiosa riduzione dei relativi stipendi parlamentari o delle varie prebende dei cui sono oggetto. Ma il vero timore è che, dovendo un candidato curare un collegio elettorale grande il doppio di prima, nel tempo, non pretenda una segreteria che sia il doppio della prima con personale e nota spese parimenti raddoppiate, e le spese che noi ci accingessimo a cacciare dalla porta rientrerebbero dalla finestra.
E lo snellimento delle procedure in cosa consisterebbe? Ogni proposta di legge non dovrà fare sempre il doppio passaggio alla Camera ed al Senato? Certo! E allora cosa si snellisce, il tempo di una votazione segreta che impegnerà due ore invece di tre? O si snellisce il numero degli interventi e delle discussioni per ogni proposta di legge che sarebbe approvata in dieci mesi anziché in un anno? Ma una proposta di legge discussa da 630 persone anziché 400 non credete che sia sviscerata meglio in tutti i suoi aspetti sia positivi che negativi, con maggiore garanzia di bontà? Oppure che da 230 teste in più possano sorgere maggiori idee di necessità legislative?
E se lo snellimento burocratico e l’accelerazione dei processi legislativi era proprio quel che si voleva, perché abbiamo votato NO all’altro referendum costituzionale di qualche anno fa che prevedeva l’abolizione del Senato, inutile doppione (oggi, ma non al tempo della redazione della Costituzione) della Camera, nonché l’abolizione delle Province? Ne avremmo guadagnato sicuramente in risparmio di soldi e in velocità amministrativa.
Ma i momenti cambiano; le situazioni politiche pure. Ed alla fine, ma solo alla fine, ci accorgiamo che le vere finalità di una scelta A al posto di una scelta B, sono talmente lontane da quello che ci viene proposto di scegliere che faremmo meglio ad astenerci da ogni partecipazione, foss’anche emotiva.
Però anche questo, nella pratica, non servirebbe a molto: infatti i referendum costituzionali non prevedono il limite del quorum dei votanti, per cui, paradossalmente basterebbe che in tutta Italia un solo, dico un solo, cittadino si recasse a votare che vincerebbe o il SI o il NO, a seconda della sua espressione di voto. Tutto, come vedete, molto “democratico”.
Di questo parleremo nel terzo capitolo.
Claudio Gliottone