Come per la precedente puntata, inizio riportando alla lettera la definizione di wikipedia : La parola oligarchia deriva dal greco antico olígoi (ὀλίγοι) = pochi e arché (ἀρχή) = comando/governo; ossia “governo di pochi”. L’oligarchia è un regime politico, un governo, caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di poche persone.
Si parla per lo più, in questi casi, come ai tempi di Platone e di Aristotele, di rappresentanti di caste, come gli aristocratici, i ricchi, i nobili, i mercanti, accomunati da un interesse collegiale per il quale agiscono impadronendosi del potere ed usandolo ai loro fini, senza partecipazione d’altri. Per gli amanti di storia ne siano esempi il Consiglio dei 400 ad Atene, nel 411 a.c., o i governi delle Repubbliche marinare in Italia. Diversa la posizione dei Trenta Tiranni, sempre ad Atene o del Direttorio nella terza fase della Rivoluzione francese, perché ad unirli non era un interesse di classe, ma la semplice usurpazione del potere in quanto tale.
Certo di aver chiarito la sottile differenza, veniamo al nostro caso con una domanda specifica: premesso che parliamo di una categoria che abbia particolari interessi in seno ad una maggioranza di eguali e di pari merito (deputati e senatori) ma non appartenenti alla stessa categoria (o classe, ad esempio avvocati o magistrati o medici e via dicendo), non pensate che quella possa più facilmente affermarsi se milita in un contesto di 600 persone che non di 945? Così nasce l’oligarchia, il cui aspetto più pericoloso è rappresentato dal difficile riconoscimento della sua esistenza e del suo agire soprattutto per i propri interessi. E mi pare che in Italia già ne esistano troppe, e non solo nell’ambito politico (vedi magistratura, ad esempio).
Lo Statuto Albertino è rimasto in vigore dal 1861, nascita del Regno d’Italia, fino al 1946, anno del referendum repubblicano; vivo, ma non vitale, a causa dello stravolgimento e delle interessate interpretazioni ad esso apportate, anche durante il ventennio fascista. Era stato “concesso” da Carlo Alberto, re di Sardegna, illuminato sovrano Savoia, durante i moti rivoluzionari del 1848, e mai più revocato, come invece avvenne nel Regno di Napoli o in quello del Papa Re; ed il Piemonte e poi il successivo Regno d’Italia furono governati da una “monarchia” che era “di diritto”, perché riconosceva libertà civili e politiche, “rappresentativa” data la presenza di un Parlamento con due camere, e “costituzionale”, per la presenza del citato Statuto. Il tutto regolato da una visione dei poteri sui quali, però, si esercitava, ancora pesante, la sovranità reale: era infatti il Re che nominava o revocava i Ministri, che aveva diritto di veto sulle leggi preparate dal Parlamento, ed era anche il capo della Magistratura, e nominava i giudici: la suddivisione dei poteri, quindi, era molto relativa; ma non era più un “monarca assoluto” , mentre si andava storicamente affermando la partecipazione democratica. Alla quale si giunse, il 1 gennaio del 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione Italiana, soprattutto con l’adozione del “suffragio universale” che concedeva diritto di voto ed elezione a tutti, senza limiti di censo, sesso, provenienza ecc.. e con la precisa divisione dei poteri: il parlamento legifera, il consiglio dei ministri amministra e fa applicare le leggi, la magistratura sorveglia sulla loro giusta applicazione punendone le trasgressioni. Ognuno indipendente dagli altri, come aveva preconizzato Montesquieu nel suo libro “L’esprit des lois”; questo almeno in teoria.
Ma, come diceva un altro filosofo caro al M5S, Jean Jacques Rouseau: “Tout est bien sortant des mains de l’Auteur des choses, tout dégénère entre les mains de l’homme” (Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo). E a volte degenerano anche le cose che escono dalle stesse mani dell’uomo, e dell’invadenza della Magistratura, della sua poca obiettività, dello straripamento dei poteri del Capo dello Stato, del prevalere dei compromessi (i dalemiani “inciuci”) tra i vari componenti del Parlamento, non devo essere io a parlarne, tanta ne è l’evidenza.
Ed è proprio quest’ultimo aspetto, quello dell’inciucio, che va ancora segnalato nella nostra chiamata ad esprimerci il 20 settembre: il PD, sostenitore della legge elettorale di tipo proporzionale, a lui più favorevole, la baratta con il taglio dei parlamentari, voluto dal M5S, movimento giustizialista di recente affermazione.
Così un partito nato dall’unione di altri partiti di gloriosa storia, di comprovata democraticità e capacità governative e di garanzia sociale, vende parte della sua visione partecipativa nei confronti dell’elettorato per meno di trenta denari: con tutti i danni che ne potrebbero derivare dalle considerazioni già espresse nelle puntate precedenti. Non una pensata e meditata soluzione, ma un volgare e deleterio compromesso.
Nel prossimo capitolo, a conclusione della chiacchierata, parleremo delle cause dello attuale marginalismo del Parlamento italiano e della sempre più dilagante “antipolitica”.
Claudio Gliottone