Abbiamo salutato con rinnovato piacere (e come non avremmo potuto farlo!) le tre giornate di musica d’élite, mi si perdoni il termine ma lo ritengo più che appropriato rispetto alle continue crescenti banalità che caratterizzato oggi la musica di altro genere, offerteci dalla manifestazione Teano Jazz, ritornata alla grande nel suggestivo terrazzo del Loggione.
Siamo teanesi orgogliosi di tutto quel che di bello e di interessante si riesce a fare per la città, sposandone in pieno le finalità educative e formative sottese; e il Teano Jazz ne possiede a iosa.
Per questo abbiamo voluto approfondire e farvi partecipi della storia di questa lodevole iniziativa ed abbiamo chiesto aiuto ad Antonio Feola, con il compianto Antonio ed il fratello Walter Guttoriello, tra gli eccellenti suoi organizzatori.
Con la sua innata e squisita cortesia non ha tardato un solo giorno ad accontentarci.
Vi sottoponiamo le sue considerazioni.
“Mi sono state richieste delle brevi considerazioni sulla manifestazione Teano Jazz e accolgo l’invito di buon grado.
Parlare di Teano Jazz potrebbe indurre molto facilmente a riscriverne la storia, a cadere nel luogo comune dell’autocompiacimento o della autocelebrazione. Del resto, relativamente alla rassegna, le sfaccettature sono tante, si potrebbe parlare a lungo di come una manifestazione piccola e locale sia diventata di dimensioni così rilevanti e di respiro nazionale, dell’aspetto artistico, di quello organizzativo e così via. Vorrei invece tentare di intraprendere un’altra strada, considerare una angolazione più intima e introspettiva, tentare cioè di far venir fuori un po’ lo spirito che anima la rassegna. Non è facile ma mi ci proverò.
Eventi di tale impatto hanno dietro tante storie che si intrecciano e si intersecano tra di loro, storie di musicisti, di organizzazione, di management, di burocrazie, di impegni, di forti emozioni, di nervi scoperti, di sensibilità notevolmente accentuate, storie di grandi e piccole problematiche da risolvere, di incomprensioni, di contrasti, di ricomposizioni, di pathos.
L’elemento forse più rilevante in tutto questo intrecciarsi di sensazioni e di problematiche è quello delle motivazioni, motivazioni che nello specifico indubbiamente muovono da una forte passione, da un sentimento interiore che ti consuma nell’intimo. E’ quello che in altre forme e con altre modalità avviene anche nell’artista che ha l’urgenza, la necessità di esprimere quanto porta dentro di sé e, spesso, in modo addirittura inconsapevole. Molto spesso l’artista (o colui che crea in generale ), si ritrova ad essere anche solo, incompreso, non trova chi riesca a “sentire” come lui, purtuttavia deve fare quello che “sente”, prescindendo da tutto il resto, dalle difficoltà, dal contesto, dal comune sentire, dalla gente e così via. E’ come se si fosse presi da una sorta di “daimon”, che ti pervade, ti possiede ma che contemporaneamente ti motiva, ti guida e ti dà anche l’energia giusta per procedere.
Per venire poi alle cose pratiche, allestire un cartellone, mettere insieme dei nomi artistici per la rassegna, si potrebbe pensare che sia semplicemente un fatto di carattere tecnico, di competenze specifiche. E’ anche un fatto tecnico, indubbiamente. Ma non solo. Se dietro c’è un percorso, un’idea più precisa, un progetto, la consapevolezza chiara di quello che si vuole realizzare, se c’è un’anima, per usare un termine oggi desueto, ebbene, ad occhi più attenti e sensibili, tutto ciò appare evidente. Altri elementi rilevanti oltre le competenze sono a mio avviso l’amore che si ha per questo mondo “strano”, particolare (ma anche di grande fascinazione), nel quale i rapporti umani hanno ancora un significato, un senso, il rispetto per gli artisti e per il lavoro di quanti collaborano alla realizzazione dell’evento, prescindendo dai livelli di responsabilità, ma anche l’intensità e, soprattutto, l’autenticità e l’energia che entra in gioco, in una corrispondenza che vede coinvolta l’idea artistica, i musicisti, il pubblico, i collaboratori, tutti quanti partecipano a qualsiasi titolo all’evento, sia relativamente alla realizzazione che in relazione alla fruizione dello stesso.
Quindi, forti motivazioni, forti sentimenti, forte determinazione e grande credibilità in quanto si sta facendo, rappresentano l’humus, per così dire, il retroterra umano su cui va a prendere forma prima l’idea del festival e poi la realizzazione dello stesso. Altro elemento strettamente connesso ai precedenti è quello della autenticità.
Il concetto di autenticità credo sia un elemento fondamentale per capire meglio. L’evento è autentico, vero, nella misura in cui chi lo crea mette in gioco buona parte del suo essere, inteso come modo di vivere, di pensare, di vedere le cose che lo circondano. L’evento è tanto più vero quanto più ti senti coinvolto nel profondo, quanto più metti in gioco te stesso e la tua visione del mondo. Potrebbe sembrare presuntuoso e forse esagerato fare tali affermazioni per un “semplice evento musicale”. E infatti, a mio avviso, non si tratta di un semplice evento musicale ma di qualcosa di più complesso e profondo, che va a toccare anche altre corde. Gli elementi cui facevo cenno in precedenza e quindi, la passione, le motivazioni, la determinazione, la credibilità, il rispetto, l’autenticità sono quelli che rendono possibile la realizzazione della rassegna, ma soprattutto conferiscono la vera forza all’evento e lo rendono interessante, importante, vivo, dinamico. Il bello è che all’esterno tutto questo, quando c’è, si avverte e si percepisce in modo chiaro e netto, come si avverte allo stesso modo quando manca e questo prescindendo dai nomi in cartellone, dal programma, dalle disponibilità economiche ecc. Di fatto esistono eventi che hanno un’anima, un carattere e altri che non ne hanno.
Almeno queste sono le mie sensazioni e le mie convinzioni.
Relativamente all’aspetto delle forti emozioni vissute nell’ambito dei giorni della rassegna, si potrebbero scrivere libri tanti sono gli episodi, “i fatti” che ti rimangono impressi nella memoria e che ti danno anche la spinta, la carica giusta, la forza per proseguire, nonostante tutto.
Ricordo di quella volta, nel 1995, anno del battesimo del fuoco con uno dei più importanti artisti americani in circolazione, Steve Coleman, che in vena di scherzi (usiamo questo eufemismo) si bloccò poco prima del concerto e non voleva proprio saperne di salire sul palco (fatto che al momento ci gettò in una costernazione incredibile), adducendo non so quali problemi di cattiva funzionalità del suo strumento, peraltro fugati appena dopo, e che fu il prologo di uno dei più bei concerti della storia del festival. O l’acquazzone improvviso (si tenga presente che allora i concerti si svolgevano rigorosamente all’aperto, senza alcun tipo di protezione) che si scatenò appena prima del concerto di Al Di Meola e che ci spiazzò completamente per poi farci apprezzare anche in questo caso un concerto meraviglioso. Fatto del resto già accaduto qualche anno prima con il concerto del trio di Roy Haynes, John Patitucci e Danilo Perez. O del problema del mancato arrivo del contrabbasso per il concerto di John Scofield, per la risoluzione del quale si dovettero fare letteralmente i giochi di prestigio. Altro momento per me fondamentale fu l’arrivo al festival di uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz, Mcoy Tyner. Ho sempre seguito questo musicista sin dai tempi di “My favorites things” del quartetto di John Coltrane, il primo disco jazz che abbia ascoltato in assoluto e che ha contribuito ad avvicinarmi a questo mondo così affascinante. E vedermelo davanti in carne ed ossa, forse un po’ troppo invecchiato rispetto all’età anagrafica, fu per me una emozione incredibile e ancora oggi ho i brividi addosso.
E si potrebbe continuare all’infinito.
Il fascino del jazz e del suo mondo consiste soprattutto in questo, che si tratta di un mondo ancora vero, autentico, che riesce ancora ad emozionare, che riesce ancora a suscitare “meraviglia”, che ti fa provare ancora sensazioni “umane”, in un momento storico in cui quasi ovunque il virtuale tende ad avere il sopravvento sul reale, spesso il falso sul vero, non solo in senso metaforico, e un senso di smarrimento e di confusione pervade tutto.
Queste brevi riflessioni sul festival investono chiaramente un aspetto soggettivo di chi sta “dietro” al festival e ne regge, assieme a pochissimi altri, le sorti. C’è poi l’aspetto dell’impatto della rassegna sul territorio. Indubbiamente la manifestazione è ormai un qualcosa di consolidato, un “fatto” che esiste da anni, fa parte del panorama fisico della città, è tutt’uno con la storia recente della cittadina e quindi da molti concittadini (e parliamo di non appassionati o addetti ai lavori) è attesa ogni anno con una certa trepidazione e interesse. Per altri si tratta invece di un corpo estraneo di cui non si riesce ancora a comprendere il significato. Questo è un aspetto molto delicato che ci crea insieme rammarico e imbarazzo. Rammarico perché ci fa capire che, nonostante l’impegno, le competenze acquisite, il lavoro di ciascuno, non è stato fatto ancora tutto il possibile per coinvolgere in modo più consapevole la gente. Purtroppo questo aspetto riguarda anche i giovani che in pochi si avvicinano alla rassegna. Ci siamo interrogati più volte su questo aspetto ma non riusciamo a dare delle risposte significative in merito. Sarà che dobbiamo ancora fare molto, sarà che andiamo a confrontarci con una mentalità ancora troppo bloccata e incancrenita per poterla minimamente scalfire e scrostarne le negatività , fatto sta che il problema esiste e ne siamo consapevoli.
Per quel che concerne gli sviluppi futuri della rassegna si può dire che la manifestazione più interessante è quella che deve ancora essere realizzata, nel senso che, in primis, non si è ancora soddisfatti del tutto per quanto finora creato, e ancora tante sono le idee da realizzare e le cose da fare. Il che significa che il festival è ancora vivo e continuerà ad essere una ricchezza incredibile per il territorio e per quanti avranno la perseveranza di continuare assieme a noi nel proseguire un percorso già da tempo avviato.”
Grazie Antonio, a te ed a tutti gli organizzatori.
Claudio Gliottone