Infine pure per Ade ha trovato armi sufficienti a combatterlo. L’epoca che avanza è dolorosa".
Nata dalla penna di Sofocle, figlia dell’incesto di Edipo, Antigone è sicuramente una delle figure più fortunate della tragedia antica e della tradizione letteraria e filosofica successiva: da Hegel a Heidegger fino ad Anouhil e Brecht, e poi ancora per tutto il Novecento, il testo di Sofocle viene approfondito, interpretato, rimaneggiato.
Antigone rappresenta la coscienza naturale legata al genos (è un legame che porta addirittura nel nome). Ciò che la spinge ad agire contro il nomos di Creonte sono le leggi non scritte degli dei inferi, che le impongono di sotterrare il fratello ucciso affinché lasci la vita e possa entrare in pace nel regno dei morti. Spetta a lei, donna, simbolo del regno della famiglia, rendere gli onori funebri a Polinice, così come ha fatto per il fratello Eteocle e il padre Edipo, a costo di mettersi contro Creonte e contro la sorella Ismene, che non ha il coraggio di violare le leggi stabilite dagli uomini. Creonte è il legislatore: colui che pone ordine, colui che stabilisce le leggi tra gli uomini.
L‘Antigone mette in scena lo scontro tra legge divina e legge umana, tra coscienza e diritto, tra verità e giustizia, tra ragione e sentimento, ma anche tra maschile e femminile e tra due concezioni di femminile diametralmente opposte.
C’è Antigone, e poi ci sono le Antigoni: dobbiamo dire così, citando l’interessante saggio di Steiner (Le Antigoni, Garzanti, 2003) che, analizzando le varie interpretazioni del mito di Antigone nella letteratura, nel pensiero critico e sulle scene, si interroga sul perché alcuni miti greci continuino ad essere attuali e a plasmare la nostra percezione di noi stessi e del mondo.
Questo è il punto. Ogni Antigone recupera l’originale ma è inevitabilmente figlia del suo tempo. Qui sta l’universalità e la potenza del mito: nel dar voce a un conflitto che caratterizza trasversalmente le epoche e nell’essere inesauribile fonte poietica che continuamente si rinnova.
Tiresia – uomo e donna, secondo il mito – cercherà invano di convincere il Legislatore a rivedere le sue posizioni. L’uomo forte ha il coraggio di avere paura, di dubitare, di considerare caso per caso, di correggere i suoi passi. Solo il debole ha la necessità di nascondersi dietro rigide impalcature di leggi che impediscano agli altri di manifestare la propria coscienza. E neppure Emone, figlio del Legislatore e innamorato di Antigone, riesce a dissuaderlo dalla decisione presa.
Antigone si ucciderà inalando il gas del fornellino della sua cella, mentre le compagne sono fuori per l’ora d’aria. Lascerà una lettera per Emone, che è l’ultimo soffio di speranza che spira dalla sua bocca.
"È questo il momento storico per una riscrittura dell’Antigone. Non un esame dell’opera sofoclea o una modernizzazione della stessa, o una nuova traduzione: è questa l’epoca storica per mettere le mani nelle nervature della classicità", spiega l’autrice.
Valeria Parrella fa rivivere il personaggio di Antigone, con una lingua poetica e intensa, spesso arcaica, attualizzando una tragedia che non smette di parlarci: "un discorso sulla vita, sul coraggio, sull’autodeterminazione, su cosa significhi essere partecipi del Diritto, oggi".
L’Antigone della Parrella richiama la nostra attenzione su alcune questioni molto delicate, quali l’accanimento terapeutico e la situazione delle carceri, che privano di qualsiasi dignità l’individuo. Antigone è simbolo di movimento, della coscienza che continuamente si interroga e progredisce.Dalla parte opposta c’è la cecità della legge che si erge come un macigno sugli uomini, immobile, separata dal popolo; un diritto che non è scudo a protezione dei valori personali, che non si rinnova, che ha perso la sua essenza, il suo principio d’origine. In mezzo c’è il Coro, nella tragedia greca voce della saggezza popolare, a rappresentare l’oscillazione del dubbio.
L’Antigone di Valeria Parrella sarà in scena per la regia di Luca De Fusco a partire dal 25 settembre 2012. Con Gaia Aprea.
Valeria Parrella – Antigone, – Edizioni Einaudi 2012 (L’Arcipelago Einaudi),
105 pagg., 10 €
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