Come è
“La Befana” di Giovanni Pascoli
Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
stanca! la circonda
neve Abitavo in un gran casamento dove le stanze si infilavano una dietro l’altra come i dieci piccoli Indiani di Agatha Cchistie. Mistero e magia la pervadevano. Forse c’era anche qualche allegro fantasmino burlone. Su per delle scale erte si accedeva al salotto dove troneggiava il pianoforte di mio zio Nicola chiuso a chiave da Giovanna Contestabile, la mia piccola e bianca nonna Gianna chiamata, dalle garrule compagne di scuola, Giovannina. Burbera e rigida non consentiva nessuna variante alle sue regole da caporale istruttore – Le sere, in paticolari le invernali, le si passava presso il mastodontico fuligginoso camino a contar storie o,a ripassar tabelline.
Mio nonno Luca uomo gioviale e sciampagnone, era morto da tempo inibendomi la gioia di conoscerlo e di godermelo. Ricordo con vivida memoria le sere del cinque di gennaio quando mia nonna con mia madre si andavano a rintanare tra ridondanti copertone- Restavamo Papà ed io a goderci il guizzare delle fiamme e lo sfrigolio lamentoso della legna – Tacevamo pensavamo in modalità diverse alla benefica Befana Genoveffa che si era messa già in viaggio a cavallo di un’antiquata scopa di saggine volando su dai monti ovattati di soffice neve e avviandosi a compere il suo annuale “mestiere” a portatore di felicità-
Le scintille danzavano una sarabanda da sabba.Mio Padre e io continuavamo a tacere ammaliati dal baluginio rutilante delle legna che si consumava rapida alimentata da un vento forzuto che ululava infiltrandosi nella cappa- Ogni tanto Papà mi incitava a chiedere: Befana Befanella mename ‘ na caramella e io ripetevo come un rosso pappagallino meccanicamente. La caramella puntualmente mi piombava sulla testa chissà da dove. E ancor oggi mi domando come facesse il mio vispo paparino a cmpiere il prodigio. Gli anni sono volati rapidi ma la memoria di quelle serate fatate attraversa ancora le stanze misteriose del castello della mia mente.
Dedico questo povero scritto in questa vigilia a Tutti voi in particolare ai sognatori, agli artisti, ai musicisti con una nostalgia talmente intensa che fa vibrare le corde del cuore fanciullo.