Tra i diritti essenziali per una donna c’è l’accesso ad un aborto sicuro. In Italia questo diritto, entro alcuni limiti, è garantito. Ma non è così ovunque. La Polonia ha una delle leggi sull’aborto più restrittive dell’Unione Europea. Fu approvata nel 1993 e consentiva l’aborto solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, stupro e, appunto, grave malformazione del feto. Lo scorso aprile la maggioranza guidata dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS), appoggiata da alcuni gruppi religiosi cattolici e dai vescovi vicini al governo, aveva provato a introdurre il divieto attraverso una proposta di legge che, anche grazie alle proteste dei movimenti femministi polacchi, era stata rimandata in commissione. Il tentativo precedente risale al 2016, ma era stato bloccato dalle cosiddette “proteste in nero” (Czarny Protest) quando le donne polacche, sostenute da molte altre nel mondo, avevano organizzato enormi mobilitazioni vestite di nero. Intanto, oggi ancora una volta, il governo ha tentato di irrigidire la legge sull’aborto e così la Corte costituzionale polacca ha emesso una sentenza per proibire l’ aborto in caso di gravi malformazioni del feto. La motivazione della sentenza: non può esserci tutela della dignità di un individuo senza la protezione della vita. Ancora una volta, la Polonia ha dimostrato che non c’è più argine alla politica oppressiva nei confronti delle donne. I motivi religiosi, giustificano solo in parte questo fenomeno. La religione cristiana, ponendo l’accento sulla sacralità della vita sin dal concepimento, equipara l’aborto all’omicidio. In Italia calano sempre di più i cattolici praticanti, mentre aumentano gli obiettori. L’età media dei non obiettori è alta e non sta avvenendo un ricambio generazionale. Questo perché, evidentemente, l’obiezione non è dettata tanto dalla coscienza, ma da interessi di altro tipo. C’è la questione economica perché l’IVG si può praticare in ospedali pubblici gratuitamente, e in cliniche private. Per la sanità pubblica, l’aborto non può rientrare nelle prestazioni di libera professione erogate nelle strutture ambulatoriali dell’ospedale. Questo legittima molti medici a dichiararsi obiettori per il SSN, ma poi eseguire l’IVG a pagamento nei propri ambulatori.
In definitiva, l’obiezione andrebbe quindi regolamentata in modo chiaro e la specializzazione in ginecologia sconsigliata a chi non vuole praticare aborti.
Sara Finocchi