Era un uggioso e piovoso lunedì di novembre: una di quelle giornate da rimanere chiusi in casa, magari davanti ad un camino. A dire il vero era piovuto anche per tutto il sabato e la domenica precedente. Non c’era certo di che divertirsi per chi, come tanti, abituato ad una vita sociale attiva, si sentiva prigioniero tra quattro mura. Ma i nostri Santi erano abituati a passare da soli quasi tutte le loro giornate nell’umida e poco illuminata chiesa dove il sole, quando c’era, faceva capolino da un alto finestrone solo per una o due ore del mattino. Damiano leggeva “Le Confessioni” di Sant’Agostino; Cosimo giocava a scacchi da solo, in una partita contro se stesso, sedendosi ora da un lato ora dall’altro del tavolino sul quale era riposta la scacchiera, a seconda che muovesse per sé o contro di sé. E, parrà strano, stava pure…perdendo.
Ad un tratto, dopo una ulteriore mossa più impegnativa di fronte alla quale si era “auto incartato”, gettò all’aria il tavolino e si avvicinò, alquanto contrariato, a Damiano, interrompendolo dalla lettura.
“Damià, Damià, ma tu sai ieri che mi è capitato?”
“Nò, Cosimì, e che ne pozz’ sapè”.
“E mo’ te cont’ tutt’ cose: ieri mattina stavo pensando a come fosse disastrato questo paese. Ti ricordi, ne abbiamo parlato anche lunedì scorso. Allora mi è venuta un’idea: qui ci sta pure Antonio, il nostro collega; quello è un taumaturgo noto in tutto il mondo, fa nu’ cuofano ‘e miracoli, ne putesse fa uno pure per tutto il paese? Mò ce vaco a parlà. E sono andato al convento.”
“E allora?”
“Stava nel chiostro, stava curando i gigli perché quello, Damià è cacchio di far fiorire i gigli pure a novembre! Che brava persona e che grande santo! Mi è corso incontro felice e mi ha abbracciato; e mi ha detto – Cosimo, e che ci fai hastà? – . Sai perché lui è portoghese, ma ogni tanto ci dà una botta in spagnolo.
Antò, t’aggia chiedere na’ cortesia: tu lo sai questo paese come sta scarrupato. Tante persone hanno contribuito a ridurlo così e gli abitanti ne soffrono molto, non ne possono più, stanno male, Antò, stanno male, ma un bel po’ di colpa ce l’hanno anche loro. Lasciammo sta stì cose, ma nunn’è che tu putisse fa’ nu’ bell’ miracolo, e’ chilli che sai fa’ solo tu?-
Cosimo, ma via, sei un Santo pure tu! E vieni a chiedere il miracolo a me? – mi rispose, stavolta con un po’ di accento veneto. Sai lui risiede anche a Padova.
No, Antò, nun ce ‘mbrugliamm’ cu’ e’ lengue. Tu sei il taumaturgo, tu sei bravo e ti conoscono in tutto il mondo e stu’ miracolo mica è na’ cosa semplice: cca’ ce vo’ tutta l’arte ca tiene solo tu. –
Ostrega – rispose – vediamo cosa si può fare -”
“E allora Cosimì?” lo interruppe Damiano.
“E allora cominciò a concentrarsi, alzò le mani al cielo, strabuzzò un poco gli occhi, fece un giro su se stesso come un affermato matador e, girando girando, esclamò : Olè! Ed aggiunse: Vaias, Cosimos, vaias, todo è stato fatto. Vaias, ma adelante, Cosimo, adelante e cum juicio. Vaias.”.
“E tu, tu che hai fatto?”
“Damià a dicere a’ verità chesta cosa del juicio e di adelante me pareva che l’avevo già letta da qualche parte. Comunque mi sono genuflesso, e poi l’ho abbracciato e ringraziato a nome di tutti i teanesi”
“E allora, Cosimì, e allora?”
“Allora, appena uscito dal convento ho preso una fuiarella per andare a controllare gli effetti del miracolo. Sono corso subito a Casi a controllare se la strada più scarrupata del mondo fosse stata miracolosamente riparata: so’ ntruppecato nella prima buca, mi sono inzaccherato nella seconda, sgommato a sangue nella terza ed alla fine mi son detto: forse qui non è arrivato ancora il miracolo.”
“E allora, Cosimì, a allora? ” incalzava Daniamo sempre più incuriosito.
“Allora sono andato a Rio Persico: sono caduto in una voragine spaventosa piena di acqua reflua dalle fognature. Un fetore che non ti dico. E mi son detto: forse neanche qui è arrivato il miracolo “.
“E allora, e allora? Ma Antonio te l’aveva detto di andare cum juicio: tu te si’ misse’ a correre!”
“Allora, inchiavicato e puzzolente come non mai, mi son detto: forse il miracolo deve passare per la Giunta, bisogna fare una delibera di approvazione, bisogna trasmetterla all’Ufficio Tecnico, oggi la burocrazia taglieggia anche i Santi ed ostacola i miracoli. Forse non sono capaci di farla, forse non si sa quanti e quali Assessori ci sono e quali sono, forse ci vuole una spintarella politica e non sanno a chi rivolgersi, se a De Luca, a Oliviero, a Mastella, a Magliocca o alla Picierno. Mo’ vado a dare un’occhiata.”
“E allora, Cosimì, e allora?” continuava a tampinarlo Damiano.
“E allora sono corso sul Comune. Nel corridoio continuava a piovere dal soffitto e si era formata una pozza d’acqua che non hai manco idea. Ci sono caduto dentro luongo luongo e, modestamente chiatto chiatto…”
“E allora Cosimì, e allora” lo interruppe Damiano.
“E allora me so scetato, Damià, me so’ sce-ta-to, perdincibacco!”
“E allora… era tutto n’u suonno?”
“Sì, sì Damià. Sì, era tutto un sogno. Ma te pare che Sant’Antonio puteva mai pensa’ a queste stronzate che fanno gli uomini quando non pensano, quando scelgono male, quando non sono dotati di libero, ma di servo arbitrio? Quando prendono la sputazzata per lira e’ argiento? Chillo Antonio è nu’ Santo serio, un galantuomo. E che faceva nu’ regalo a tutta sta’ gente ed ai loro amministratori? Accussì se l’avevan’ tenè per altri cinque anni? No, Damià, non era possibile”.
“No, no, Cosimì: nunn’era proprio possibile.”
Riprese il libro delle Confessioni e si immerse nuovamente, anima veneranda, in quello che proprio Sant’ Agostino amava definire un “ozium liberale”: la lettura. Cosimo, invece, tornò alla sua partita a scacchi, ma con ancora più ridotte prospettive di vittoria.
Claudio Gliottone