Dopo i Due Colonnelli con Totò e Walter Pidgeon ( tradotto in italiano suonerebbe più prosaicamente Gualtiero Piccione) e i due Marescialli interpretato dal Principe del sorriso e da De Sica quello super ( VIttorio),ecco una brillante interpretazione di Di Benedetto e Gelsomino nei "DUE INGEGNERI".
Nessun commento da parte mia; avevo promesso di disinteressarmi delle vicende amministrative locali felici o amare che siano e manterrò la parola , fino alla fine.In altri termini : il fatto è che, quando tirano troppo la corda, non aspetto che si spezzi, la mollo e mi interesso d’altro. Solo una piccola nota a margine, breve come il sospiro di una monaca in preghiera ( nessun riferimento ai due allegri fratacchioni anonimi) . Ripeto l’anonimato è una forma di….. cosa indefinibile. Se non si può o non si vuole parlare apertamente con tanto di firma, meglio stare zitti. Dunque, tornando alla noterella , voilà: "Gli spauracchi di un commissariamento o di un possibile ritorno al passato sono niente rispetto allo spettro di Amministratori che vorrebbero essere "nuovi" ma non hanno la voglia e la maturità per diventarlo, che si accontentano di un finto rinnovamento fatto di sole facce nuove e non di metodi diversi.(Ingegner Di Benedetto Nicola) : "considerazioni in libertà."
Per quanto riguarda Armandino non trovano fondamento. La stoffa c’è, ora bisogna trovare i sarti . E come sempre mi viene in soccorso, mentre annaspo non capendoci più niente lo straordinario Amico Enrico: "È vero, saper perdere non è facile, ma accettando la condizione a suo sfavore l’uomo dimostra la sua vera forza." E conclude saggiamente con l’affetto di sempre: " "Caro Giulio, siamo legati dal vero affetto e stima. Rimpiangere il tempo passato non è un bene, ma comunque rimane dentro un po di nostalgia del tempo che fu." Continuiamo invece ora ad ascoltare Teano che racconta. intanto che le stelle e la luna ci sorprendono a guardare Entriamo nel Duomo, di notte, come in un sogno, con la forza dell’immaginazione e della memoria, in silenzio. Ci si sofferma a guardare un quadro insolito, sormontante un altare laterale. Ne ascoltiamo la storia minima è Teano stessa che ce la narra in sussurri: – Su un altare di una cappella della navata di destra campeggia questo dipinto, presumibile ex voto dopo la solenne "batosta" della peste del 1656. Rinvenuto in condizioni pietose dai soliti appassionati e dal Canonico de Tora con gli occhi allagati di lacrime, fu poi restaurato dal benedettino dell’Abbazia di Praglia don Onorato, che tenne fede al suo nome monastico, sudando 777 camicie per rimetterla in sesto e pappandosi con vorace letizia i pasti pantagruelici del vescovo Sperandeo per riacquistare energie. Fino a otto uova all’"occhio di bue in un sol colpo" Gnam, sparite sotto l’occhio allibito di Suor Clementina il genius loci dell’episcopio di Mons. Sperandeo. Era una Tela dimenticata in un vano della sacrestia del Duomo. Vano in cui dominano le ombre della dimenticanza, ombre pietose, forse. Un vespro dal cielo blu mare, picchiettato da pigre, sonnolente nuvole danzanti, lente. Occhi attenti, penetranti, acuti, scrutano sereni l’ambiente; scorgono in un angolo il dipinto, lo esaminano con tenera premura. Lo portano, poi, lontano dalla galera dell’oblio, lo restituiscono alla luce della conoscenza e della coscienza. Mani abili di un Monaco gioviale, ridanciano lo rabberciano e gli restituiscono in seguito la vivacità cromatica. Un Parroco solerte lo fa collocare su un altare laterale. La tela rinasce per chi vede, intende e tace. Peste del 1656, la più selvaggia di tutte quelle che flagellarono Teano e la sua Gente, inermi, smarriti, falciati spietatamente dalla Morte nera. Un committente, fortunosamente scampato alla mortifera falce, fa realizzare la tela, per grazia ricevuta, impietosa, realistica, lacerante immagine di una Città sconvolta, di miseri corpi piagati, sfigurati, deformati, dolenti. I Santi Paride e Reparata implorano misericordia a un Cristo giudice inflessibile e catartico giustiziere. Sotto il profilo tecnico-ispirativo, il quadro è di maniera. L’ignoto committente non fu molto prodigo, forse, con l’altrettanto ignoto pittore. Nulla di elettrizzante sotto il profilo compositivo e cromatico-figurativo. Dietro l’aspetto iconografico si cela la storia intransigente e rigorosa erede del concilio di Trento. Interessante. non il Cristo misericordia assoluta, ma il divino aspetto cristologico erede della nemesi greca. Resta però, indubbiamente, un interessante e notevole documento di un luttuoso evento di cui si è quasi persa memoria.
Quasi emblematico dagherrotipo, ante litteram , di una indomabile Speranza, mai sopita.
Giulio De Monaco