“Allora, questo lo metto qui, questo che ho cacciato me lo riprendo e gli affido i cimiteri, a quest’altra che mi può tornare utile con le prossime elezioni regionali dò l’assessorato ai lavori pubblici e si metterà a disposizione con i suoi amici, a quest’altra le faccio fare l’assessore e il presidente del Consiglio, comunale s’intende; a quello che ho fatto uscire per la porta lo faccio rientrare per la finestra; a quello che è uscito per la finestra lo faccio rientrare per la porta; quell’altro è entrato, uscito e rientrato facendo tutto da solo, senza che nemmeno glielo chiedessi, e mi pare che le cose si mettono per benino. Ci sono da sistemare solo quei tre rompicogl…ni che vanno cianciando di audacia e di speranza: come li posso coinvolgere? ….Eccoooooo ci sono!”
E quest’ultima frase la pronunciò alzando talmente il volume ed il tono della voce, che il “Trillo del diavolo”, sonata per violino in sol minore, di Giuseppe Tartani, sarebbe apparso, al confronto, un motivetto da infimo coro alpino.
“Cooosimooo!!! Ma che cacchio urli, sono le tre del mattino!!! Che ti sei sognato?”
“No, No, Damià, stavo giocando a fare il sindaco e, dovendo comporre la sesta, o settima?, no, forse l’ottava giunta in due anni, mi divertivo a trovare una soluzione …Avevo da risolvere il problema dei tre di l’audacia della speranza”, ed ho pensato di raggirarmeli con un posto in giunta, una presidenza di commissione, la rappresentanza nell’Ente Parco o nel Consorzio idrico ! E’ fatta Damià, è fatta. Posso aspettare sereno le elezioni di settembre. Posso fare come il Principe di Condè che se ne andò a dormire tranquillo prima della battaglia di Rocroi!”
“ Cosimì, qua l’unico che non dorme tranquillo sono io vicino a te! Ma che ti piglia, che c’entri tu col sindaco, e ti sembrano pazzielle da fare alle tre di notte?”
“… E mi trovavo… mica ci vuole questa grande scienza; è una specie di gioco degli scacchi, ma le pedine le muovi sempre tu, e loro (le pedine) restano sempre pedine”
“ No, no. Tu sei scemo da capo a piedi. Facett’ buon’ Diocleziano! Ma ti rendi conto che sei un provocatore? Perché mi stuzzichi, io dico la mia, e la gente dice che noi ci divertiamo nel “tiro al piccione”
“Nel tiro al piccione? Accussì dicono? “
“Sì accussì dicono”
“Scusa Damià, io sono un grande animalista e rispetto il piccione e tutti gli altri animali. Ognuno ha la sua vita ed i suoi spazi; ma quando poi il piccione, tomo tomo, cacchio cacchio, si aggira per tutto il paese da mattina a sera, finisce per dare un po’ fastidio; esonda, per così dire. E poi sai che, come tutti gli uccelli, è un poco lasco di pancia… e lascia tracce notevoli della sua presenza!”
“Damià, quello è sempre un modo di dire, non prendere tutto per oro colato: vuol significare che non bisogna puntarlo e sparargli sempre e comunque”
“Pure se quello rompe gli zebedei sempre e comunque?”
“Sì, Cosimì, Sì. Si chiama “democrazia”: se il piccione gode della simpatia della maggioranza può fare quello che vuole e tu non hai il diritto di sparargli, neanche con le parole.”
“E ce simm’ mparat’ pure che rè a democrazia. A milletrecento anni d’età e doppo che m’ann’ tagliata a’ capa.”
“ E non fare sempre la vittima! Vedi il problema è grosso assai, perché finora, tra un assessore che entra, uno che esce, uno che viene cacciato, uno che ritorna, uno che è richiamato, con una vicesindacatura sempre più aleatoria, in due anni non si è accocchiata una beata mazza; e non sarà la composizione della ottava, nona o decima giunta a farla accocchiare. Ed è un peccato perché passeranno tanti treni carichi di soldini, ma noi non riusciremo a prenderne nessuno, perché quando si vuol fare tutto da soli, e si ha la presunzione di esserne capace, questo succede. Si perderanno in mille rivoli perché non c’è possibilità organizzativa, a voler fare tutto da solo, e dopo aver sprecato e mortificato un patrimonio umano di non poco valore.”
“Ahhh, Damià, ma chest’ pur’ fa parte dà democrazia?”
“Certo, Cosimì. Pure chesta è democrazia. C’hamma solo sta.”
“E nui ce stammo. Mò vac’ a’ accattà nu’ poco e granone”
“E’ granone? E a che ti serve?”
“No, no. Nunn’è pe’ mmè: è pu’ piccione. Così saremo tutti più contenti, pure quelli che si trovano il balcone scacacciato. E’ a’ democrazia, Damià; è a democrazia. Santa notte Damià”
“Santa notte, Cosimì!”
Spensero la luce; ma non la speranza che si riaccendesse per una comunità alla quale avevano voluto sempre bene, e dalla quale avevano sempre ricevuto stupenda adorazione. Nel buio della chiesa rimase visibile solo il tenue bagliore della loro aureole, ma era un bagliore che ti entrava dentro!
Claudio Gliottone