Sidicini basta parlare di ricordi, articoliamo piuttosto del futuro che ci attende. I ricordi ci commuovono. Gli uomini del passato hanno compiuto grossi passi avanti; questo è un merito innegabile e comprendo che le persone un po’ datate sono orgogliose, ma oggi ai nostri ragazzi interessa di più immaginare come troveranno l’Italia quando saranno adulti: sarà una distesa desolata, con fabbriche chiuse e negozi vuoti presi d’assalto? Si potranno ancora visitare Venezia, Firenze e Roma; Pompei ed Ercolano saranno ancora in piedi ma bisognerà pagare il pizzo alla camorra?
Questa è la comunicazione che oggi danno i giornali o osservando la televisione: nessun politico ha una visione per il futuro. Per fortuna gli adolescenti non chiedono impossibili previsioni. Se sfogliano i giornali di settanta anni fa e leggono dei “futurologi” di allora, sicuramente scoppiano nel ridere: prevedevano per il 2000 città di grattacieli affollate di elicotteri, treni monorotaia e jet come autobus. Un pazza celebrazione della tecnologia. Oppure quanto avveniva nella gran parte del mondo, che tutti chiamavano “terzo mondo”: ci mostravano i negretti affamati e nudi nelle capanne di fango, ma non lasciavano immaginare ciò che veramente è avvenuto: una disumana emigrazione nella vecchia Europa, l’Italia ha pagato più di tutti, lo sradicamento di milioni di persone, la miseria urbana, le disperate carrette di fuggitivi.
Orbene cari politici è meglio evitare previsioni, ma almeno, tutti insieme, proviamo ad immaginare senza impegno, solo uno scenario possibile, una direzione verso cui andare. Lo sanno anche i più piccoli che quando ci si smarrisce nel bosco (e voi politici vi siete smarriti, non negatelo) è pericoloso tornare indietro, si potrebbe girare a vuoto e ritrovarsi al punto di partenza; né conviene cercare illusorie tracce vicine. Bisogna cercare indizi lontani, probabili segnali, una qualche ipotesi per sfuggire dal buio.
Cari politici, narrateci un nostro futuro possibile, date ai giovani una speranza: la frenesia consumistica ha provocato disuguaglianze spaventose; avete voi un’ipotesi su come ridistribuire tanta ricchezza, senza distruggerla? Avete un’idea su come fermare un ciclo di produzione e consumo che genera sempre più rifiuti da soffocare sé stesso: l’acqua imbevibile, l’aria irrespirabile, il suolo sterile, sapete immaginare una scuola che ci permetta di emergere, valorizzando le nostre capacità personali, invece di soffocarle in una grigia omologazione su modelli vetusti? Di questa cose dovete preoccuparvi, non lasciateci soli ad immaginare e costruire il nostro futuro.
In questo scritto mi sono posto in una condizione di sereno distacco dalle preoccupazioni quotidiane, che sembrano enormi sul momento, per avere uno sguardo lungo sul passato e sul futuro, poter collocare i nostri atti quotidiani in un prospettiva realistica e coerente, svincolarmi dalle polemiche e dalla nevrosi della decisione immediata. Non dico prevedere, perché ogni previsione è inevitabilmente una proiezione del presente e non un prefigurazione del nuovo. Però dobbiamo preoccuparci del futuro e fare uno sforzo d’immaginazione, a costo di innalzare utopie. È noto l’aforisma di Josep Beuys: “la peggiore utopia è credere che tutto andrà bene se proseguiamo come finora”.
Dobbiamo invece immaginare un mondo nuovo mantenendo, appunto, uno “sguardo lungo”.
E una necessità globale che si radica anche nelle dispute locali. Faccio qualche esempio. Non è importante sapere chi redigerà il “Piano regolatore” comunale di Teano, ma sapere quali obiettivi attribuiamo al nuovo piano: una città di consumi che si dilata nella campagna o una città che si rinnova al proprio interno, come un organismo equilibrato e sano?
Non possiamo disimpegnarcene per dedicarci con accanimento all’affermazione delle nostre ambizioni personali e di gruppo; dobbiamo immaginare un mondo ed una città migliori.
Lo dobbiamo ai nostri giovani.