…e mirare ad altro, fosse anche un solo giorno di “ notorietà”!
E’ la triste sensazione che si ha seguendo i vari incontri con gruppi o singoli concittadini dei quali ce ne fosse uno, dico uno solo, non concorde sul fatto che questo nostro paese sta vivendo gli anni più squallidi di tutta la sua storia. Consentitemi di non “renovare dolorem” elencando tutte le nefandezze di cui esso è stato fatto oggetto negli anni, specie negli ultimi tre. Consentitemi del pari di sorvolare sulla scontata retorica della bella città, dei suoi scorci che irriducibili fotografi nostrani continuano giornalmente a riprendere e postare su Facebook, della salubrità dell’aria, del suo clima mite, della sua storia più che millenaria.
Non c’è bisogno di tutto questo per “ amare ” i luoghi in cui si è nati, in cui affondano profonde le nostre radici, e che abbiamo vissuto e viviamo con indomabile caparbietà. L’amore spesso non ha motivazioni: se le avesse sempre e comunque sarebbe frutto di calcolo, di raziocinio, di ragionamenti finalistici e non apparterrebbe più alla sfera dei sentimenti: di quelli che ti portano anche ai più grandi sacrifici personali, pur di assecondarlo e di accrescerlo. L’amore è quello che si porta dentro, in silenzio, senza bisogno di sbandierarlo ai quattro venti; è quello che ci fa agire nella sola direzione di prendersene cura, per non disperderlo inutilmente. L’amore non nasce né si sviluppa né si manifesta in gruppo, perché qualcosa o qualcuno potrebbe sempre inquinarlo: si porta dentro ed esplode nei momenti più bui. Nulla di tutto questo ho notato nei vari personaggi i quali, pur sbandierando ai quattro venti una infinito amore per la nostra città, al “ redde rationem ” di una drammatica situazione di fronte alla quale occorre reagire con massimo impegno e con tanti sacrifici personali, continuano invece a nutrire sentimenti di appartenenza a posizioni politiche o ad elaborare controproducenti distinguo. Nel momento di estrema criticità, dal profondo di una trincea o nell’assalto in campo aperto contro l’aggressore che minaccia le cose che io amo, devo solo difendere o attaccare: non devo pensare se il compagno di lotta, che sta facendo le mie stesse cose, sia di destra o di sinistra, alto o basso, giurista o muratore, analfabeta o scienziato. L’importante è che combatta con me e come me
contro il comune nemico. Specie quando il nemico è rappresentato dall’annientamento di tutto ciò che noi due, ed i nostri antenati nei secoli, sono riusciti a costruire. La lotta partigiana contro il tedesco invasore, di cui proprio oggi si celebra l’anniversario della vittoria, era formata, in quel momento, soprattutto da singoli individui uniti contro l’oppressore: l’unico obiettivo era la riconquista della libertà. Poi si sarebbe visto come gestirla. Nessun distinguo di “ appartenenza ”, di qualunque genere essa sia, nessun calcolo personale ed opportunistico, nessuna viscerale antipatia o simpatia deve esistere quando bisogna unire le forze per difendersi. E noi dobbiamo difenderci sommamente, sia arrestando l’ingravescente degrado che iniziando una dura ricostruzione. Chi sta in trincea a difendersi non deve dimostrare al compagno che gli sta accanto che sa sparare meglio di lui: deve solo pensare a farlo per difendere tutti e due. Proviamo a realizzarlo, allora, questo “esercito per la ricostruzione”: facciamolo con menteserena, senza interessi di parte, senza paura di rompere un’amicizia se un nostro compagno è di vedute diverse, senza elaborare fatui sogni di gloria: perché è ben altro quello che dobbiamo fare in questo drammatico momento.
Dobbiamo saper fare delle rinunce momentanee e collaborare, senza perderci in disquisizioni filosofiche sulle modalità e sui progetti: perché il “progetto”, in questo momento è uno solo: “salvare la città”. Solo così potremo dimostrare nei suoi confronti quel grande amore sempre gratuitamente e troppo facilmente sbandierato.
Claudio Gliottone