Caro Direttore,
ti ringrazio anzitutto di avermi benevolmente citato nel tuo ultimo articolo. Le tue domande, e sarai d’accordo con me, sono certamente retoriche, ma, forse proprio per questo, meritevoli di adeguata risposta. Per quanto assurdo possa sembrare, io non credo che gli argomenti da te splendidamente e chiaramente trattati non possano essere recepiti per “antropologico limite a comprendere” da parte di coloro che dovrebbero essere i primi a metterli in pratica, oltre che comprenderli. Andremo pertanto alla ricerca di qualche comprensiva attenuante, per non perdere del tutto ogni speranza. Credo che il discorso sia molto lungo e parta da tanto lontano: cerchiamo, nei limiti del possibile per le nostre piccole capacità, di approfondirlo. Facciamo una piccola premessa: il cambiamento dei tempi, degli interessi, dei mezzi a disposizione ha sicuramente modificato il comportamento e la preparazione di tanti giovani e, soprattutto, attenendoci strettamente alla situazione che più ci interessa, ha fatto cambiare le finalità della “politica”, che s’è persa per strada da tempo la sua lettera maiuscola, divenendo nient’altro che una “capacità amministrativa”. Dal Consiglio Europeo e dai Governi delle Nazioni ai più piccoli paesini d’Italia, i problemi non sono più il liberalismo o il socialismo, la repubblica o la monarchia, il Patto Atlantico o l’Unione Sovietica. I problemi sono il lavoro, l’assistenzialismo, l’economia, e, negli ultimi tragici tempi, le vaccinazioni, il Covid, il Recovery fund e via discorrendo. Ma non a caso ho parlato della “capacità” amministrativa che deve, dico deve, essere proprietà di tutti quelli che si approcciano, molte volte solo presuntuosamente, al mondo della politica, sempre con la lettera minuscola. Perché l’altra non esiste più da lunga pezza. La capacità amministrativa richiede l’irrinunciabile dote della “conoscenza”: conoscenza dei sistemi, dei dati, dei meccanismi economici, della visione più ampia del presente e della diretta consapevolezza dei cambiamenti nazionali, europei, mondiali, e della lucidità di percepirli e studiarli, ma, soprattutto di saperli prevenire, certo. Ma quello di cui questa capacità non può assolutamente fare a meno è la “conoscenza del passato”, remoto non meno che prossimo: conoscere come la pensava e cosa ha fatto chi al nostro posto ci ha, immediatamente o indietro nel tempo, preceduto; conoscenza dei rapporti umani, delle vicende, degli accadimenti, delle previsioni, degli insuccessi, che si sono generati prima che io solo potessi pensare, stoltamente, a candidarmi ad un posto di responsabilità. E’ la conoscenza della “Storia”: e questa ha sempre la lettera maiuscola perché appartiene a tutti gli uomini, e da tutti gli uomini, anzi direi da tutti “gli individui” è generata giorno per giorno, ora per ora; perché come alla base di tutti i calcoli, da quello infinitesimale a quello attuariale, passando per quello astronomico, c’è la “unità numerica”, così alla base di tutti i grandi e piccoli avvenimenti, dalla Rivoluzione Francese alla strada da aggiustare o all’acquedotto da ripristinare, c’è sempre la “unità umana”. La quale merita, proprio per esser tale, il nostro massimo rispetto. Ormai da tempo la visione massificata ha soppiantato quella dei singoli; ed io continuo a dolermene, perché ogni essere umano è uno e uno solo, è quello e solo quello, di fronte a tutto l’universo, dalla creazione ad oggi. Se ne esistessero o ne fossero esistiti due, ma solo due, uguali, saremmo legittimati a parlare di massa. Ma così non è. Va da sé che, se la importanza di queste cose non appartiene a chi si candida per essere scelto, ancor meno appartiene a coloro i quali sono deputati a scegliere, gli elettori, i parametri di giudizio dei quali continuano ad essere mille miglia lontano dal “nuovo senso di responsabilità nell’agire pubblico” che dovrebbe derivare da una “restaurata moralità sociale”, come si augurava Papa Wojtyla appena trent’anni fa.
Mi rendo conto di essermi lasciato prendere la mano, ma mi avvio alla conclusione.
Riallacciandomi alla singolarità del genere umano mi conforta, ed è presagio di cambiamento in bene, il fatto che, di fronte a comportamenti amministrativi che farebbero cadere le braccia, e non solo le braccia, anche al biblico Giobbe, noto per la sua pazienza, c’è chi come noi continua giorno per giorno non solo ad evidenziare astronomiche mancanze, ma anche a suggerire rimedi di fondo, raccontando la storia che nessuno degli amministratori conosce o suggerendo stili comportamentali. Qui c’è un altro limite: rappresentato dal fatto che nessuno ama confrontarsi intervenendo con proprie considerazioni che si rivelerebbero certamente utili, se solo fossero espresse con coraggio e chiarezza e non fossero di parte. Anzi a volte ho la spaventosa sensazione che molti abbiano il terrore di confrontarsi o di scegliere chi in qualche modo dimostra di saperne più di loro e preferiscono scegliere persone alla loro altezza, dalle quali ben poco potrebbero imparare; e questo li rassicura, li tranquillizza perché con loro risulterebbero sempre in grado di affrontare ogni confronto. Ma questo è il peggiore impedimento ad ogni progresso, perché lascia l’ignorante nella condizione di ignorante e nel contempo non stimola lo studioso a studiare sempre di più nel supremo interesse di tutti e due. Tanto è guerra persa! Allora restano attualissime le parole di Giovanni Paolo ll, perché se non vennero ad ascoltarle gli Amministratori del 1990, figurati se mai potrebbero metterle in pratica quelli del 2021! Manco sapevano che esistessero finché non ne abbiamo parlato! Io le attenuanti all’ “antropologico limite a comprendere” ho cercato di trovarle; ma non sono certo di poterne negare la esistenza. Ad essere buoni potremmo assolvere i nostri amici “per non aver commesso il fatto”, visto che è dal 2018 che non hanno commesso un … fatto di niente!
Mi rimetto al tuo “giudizioso giudizio”.
Credimi sempre tuo.
Claudio Gliottone