Parlare di politica, in linea del tutto generale ed astratta, dovrebbe significare, entrare in discorsi più o meno complessi, in cui si mescolano parole che riguardano il diritto, la società, l’economia, la cultura e la gestione degli interessi pubblici. Chi parla di politica, oggi, al contrario, ne sa meno di chi non ne parla. Occuparsi di politica vuol dire, invece, ricevere la fiducia dei cittadini, ottenere l’investitura di un popolo (libero e sovrano) e mettersi al servizio di tutti, gestendo la “cosa pubblica”, seguendo l’alveo tracciato dalla legge, unica vera guida . L’agire dei politici, oggi, appare, però, solo aleatoriamente improntato a tali nobili prinicipi, essendo, nella sostanza, caratterizzato da quella impunita e seccante foggia fatta di clientelarismo e nepotismo, che lo rende non dissimile da quell’atavico legame di poteri, vigente alle nostre latitudini, nel periodo medievale: il feudalesimo.
Il lettore potrà certamente rendersi conto che l’enfatizzazione non è solo frutto della fantasia di un giovane, comunque consapevole delle meccaniche giuridiche e politiche che muovono la vita amministrativa locale e nazionale. Invero, se si paragonano i manifesti elettorali di quaranta anni fa a quelli attuali, ci si renderà conto di come, in una buona percentuale, pur cambiando le denominazioni dei partiti, delle fazioni, pur cambiando i simboli e gli slogan, i nomi delle persone (dei politici di professione) sono sempre gli stessi, così come uguale risulta essere l’andazzo in cui si adagiano. E’ come se il potere si trasmettesse di generazione in generazione, sempre alle stesse famiglie, alle stesse facce, con una soluzione di continuità da fare invidia ai vassalli medievali. Certamente questo dato, non involge la totalità delle esperienze, né da un punto di vista numerico né da un punto di vista diacronico: non tutti i politici hanno sfruttato il potere, né tutti hanno cercato di trasmetterlo e nemmeno può affermarsi che tutti i figli, abbiano ereditato le colpe dei padri. Il dato sconcertante è, però, un altro. Infatti, il sistema elettorale, che ci ritroviamo a subire, non favorisce uno spontaneo ricambio amministrativo, né sotto un profilo generazionale, né sotto un profilo politico. A tal proposito risulta necessario che la gente inizi a ricucire quello strappo che si è creato tra il diritto al voto e la propria sovranità, scegliendo in maniera ponderata le persone a cui affidare il dovere di difendere le proprie libertà. La presa di coscienza e l’abbandono di un sistema fondato sulla negoziazione del consenso passa, inevitabilmente, dal vaglio critico della realtà attuale: una realtà in cui i piccoli centri subiscono una diaspora dei propri giovani, i commercianti soffrono una politica economica locale del tutto ottusa e priva di qualsiasi criterio innovativo, la disoccupazione persiste in maniera opprimente e costante, la cultura e la tradizione svaniscono trascinandosi i fasti di un lontano passato e relegando il futuro ad una mera e lontana speranza.
Forse a Teano c’è bisogno di un ricambio generazionale oltre che politico. Sono quasi venti anni che la mia città, quella in cui sono cresciuto e di cui sono orgoglioso di sentirmi parte, quella in cui vive la mia famiglia ed in cui risiedono i miei affetti più cari, subisce una politica davvero infruttuosa. C’è bisogno di guardare avanti, lasciando da parte quella pratica di governo fatta di accordi, di promesse, di scambi, e guardare a chi vede nella politica una possibilità e non una convenienza.
La città di Teano deve cercare nel cuore delle proprie strade, nel viso pulito dei propri giovani, nei pensieri e nelle idee (nuove) di coloro che hanno voglia di lavorare e costruire un “presente” diverso. Forse anche mutando, solo parzialmente, il proprio atteggiamento verso il diritto al voto, il cittadino può riacquistare le libertà che fin’ora ha solo creduto di possedere; forse già una migliore scelta a livello locale può far germinare un nuovo modo di pensare alla politiche, capace di espandersi oltre i confini territorialmente più vicini. Concludo con un pensiero del tutto personale: le regole sono atti umani che si ergono sulla natura dei loro creatori e li sovrastano; uomini buoni creano buone regole, quando questo non accade, non bisogna aver paura, bisogna reagire, anche perché le regole sono i più a farle.
Claudio Guadagnuolo