La pandemia ha mostra la sua drammatica violenza sul piano sanitario, ma ha anche colpito duramente le istituzioni politiche ed economiche, oltre che le nostre vite e la nostra socialità. Siamo di fronte a una situazione senza precedenti ed è ormai convinzione comune che, quando la pandemia sarà superata, non si tornerà, né si potrà tornare, al prima Covid19. Le democrazie “avanzate”, o meglio il loro sistema politico-istituzionale soffre la crisi Covid. Questa tensione si esercita a diversi livelli tra loro intrecciati. Il primo livello è connesso alle misure di emergenza che, in diversi paesi, comportano la sospensione delle ordinarie relazioni e la drastica riduzione di alcuni diritti individuali e collettivi. Altro aspetto è connesso allo sviluppo del ri-equilibrarsi dei poteri in casi di emergenza e di necessità, mettendo in evidenza i rischi che anche in sistemi democratico-costituzionali relativamente solidi, se la crisi dovesse durare troppo a lungo potrebbe produrre mutazioni permanenti. Emblematico per il caso europeo è quanto è accaduto in Ungheria in cui “l’occasione Covid19” viene consapevolmente utilizzata da parte di Orban per operare un mutamento negli equilibri politici e istituzionali, portando a compimento il piano di una democrazia illimitata: una dittatura. In ultimo, le scelte di politica sanitaria sono rilevanti nelle logiche del governo perché, implicitamente rappresentano le priorità del governo: se Bolsonaro in Brasile (e in una prima fase Boris Johnson in Inghilterra ) sostiene le necessità della vita economica favorendo “l’immunità del gregge”, in Portogallo il governo ha regolarizzato i migranti con richiesta di soggiorno pendente per garantirgli assistenza sanitaria e benefit, mente l’Italia si è perseguita una strada di prevalente tutela sanitaria. Sotto la pressione della pandemia, gli Stati democratici sono quindi obbligati a fare i conti con la propria ragione politica e istituzionale, oltre che a dover ripensare il senso e la funzione delle proprie politiche di welfare oltre che politiche economiche.
Sara Finocchi