Certamente anche gli animali hanno il dono della memoria: ricordano e riconoscono chi vuole loro bene e gliene fa, come riconoscono e rifuggono chi li maltratta. È una memoria più o meno a breve termine, esclusa quella degli elefanti e dei delfini, che comunque serve a loro ed a noi per stabilire e consolidare un reciproco buon rapporto.
La memoria, quindi, come elemento naturale e fisiologico necessario alla permanenza nostra e loro in questo mondo.
Noi umani, invece, grazie sempre all’essere “sapientes, sapientes”, abbiamo una memoria di certo più lunga di loro, ma soprattutto abbiamo una “memoria selettiva” che ci consente di ricordare le cose che ci piacciono o ci “convengono” e di dimenticare quelle che non ci piacciono o non ci “convengono”.
Non è necessario rifletterci molto per notare questo comportamento, oltre che nei singoli individui, specie nei suoi gruppi sociali (partiti, sindacati, associazioni…). Non dissimile il comportamento degli Stati, specie in regime di villaggio globale.
Mi si dirà che tali atteggiamenti “adattativi” hanno finalità di utilità sociale volte a garantire princìpi inalienabili di umanità e di benessere generale.
Sarà pur vero, come è altrettanto vero che il nostro oggi nasce dal nostro ieri, come il nostro domani nascerà dal nostro oggi: e allora ci si può rendere conto che la memoria del passato “a senso alternato” può essere generatrice e foriera di altre sciagure.
E allora la odierna levata di scudi contro la “sovranista” Ungheria si ricorda della Rivoluzione ungherese antisovietica che fu repressa nel sangue (2700 morti) dai comunisti russi? E la nostra Ilaria Salis, tanto attiva e coraggiosa da andare a schiaffeggiare due “neo-nazisti” ungheresi, sarebbe andata a schiaffeggiare con pari intensità emotiva due carristi russi che giravano per Budapest sui loro carrarmati? O si sarebbe unita nel darsi fuoco al giovane Jan Palach che il 16 gennaio del 69 si immolò nella piazza San Venceslao di Praga per protesta contro gli stessi carrarmati russi che opprimevano la “primavera di Praga”? Ed oggi andrebbe a schiaffeggiare Putin a nome degli ucraini? Probabilmente no, grazie alla nostra “memoria a senso alternato”.
La stessa che , nella eguale levata di scudi oggi contro Israele, ci fa dimenticare, a convenienza, la persecuzione millenaria degli ebrei, la Shoa con i suoi milioni di morti, il vile attentato dei palestinesi alla Olimpiadi di Monaco del 15 luglio del 1972 con la uccisione di undici atleti ebrei, ed infine il selvaggio attentato terroristico dei mesi scorsi da parte di Hamas.
La morale di quanto esposto sta nel monologo di Shilock nel Mercante di Venezia, di Wiliam Shakespeare scritto nel 1596, quasi mezzo millennio fa, ma attualissimo:
“Egli m’ha vilipeso in tutti i modi, e una volta m’ha impedito di concludere un affare per un milione.
Ha goduto per le mie perdite e ha dileggiato i miei guadagni,
ha disprezzato la mia razza, ha intralciato i miei buoni affari,
ha allontanato da me i miei buoni amici e mi ha aizzato contro i nemici!
E tutto questo per quale ragione? Perché sono ebreo! E dunque?
Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni?
Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano?
Non viene ferito forse dalle stesse armi?
Non è soggetto alle sue stesse malattie?
Non è curato e guarito dagli stessi rimedi?
E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano?
Se ci pungete non versiamo sangue, forse?
E se ci fate il solletico non ci mettiamo forse a ridere?
Se ci avvelenate, non moriamo?
E se ci usate torto non cercheremo di rifarci con la vendetta?
Se siamo uguali a voi in tutto il resto, dovremo rassomigliarvi anche in questo.
Se un ebreo fa un torto a un cristiano, a che si riduce la mansuetudine di costui? Nella vendetta.
E se un cristiano fa un torto a un ebreo quale esempio di sopportazione gli offre il cristiano? La vendetta.
La stessa malvagità che voi ci insegnate sarà da me praticata,
e non sarà certo difficile che io riesca persino ad andare oltre l’insegnamento.”
Claudio Gliottone