È stato tredici giorni fa, quand’era ancora un’altra vita. È stato un precipizio e Andrea è caduto. Il demone del ricordo è lì fisso davanti ai suoi occhi. Rivede se stesso mentre corre verso la macchina: «Dio mio. Cosa ho fatto?». E vede Luca ancora stretto nella cintura del seggiolino. Eccolo il suo bimbetto adorato in quella macchina diventata bara, ha la testa reclinata e non respira più. Due anni appena compiuti e riccioli castani immobili in quel pomeriggio arroventato. Ecco l’onda gigantesca della disperazione che arriva dal nulla e travolge tutto. Ecco la voce di sua moglie Paola: «Come hai potuto?». Andrea Albanese se lo chiederà fino all’ultimo dei suoi giorni: come ha potuto dimenticare Luca in macchina per otto ore sotto il sole? Con oggi sono tredici giorni di ospedale e psicofarmaci per tenere a bada la depressione e la voglia di farla finita. Per che cosa, adesso, vale la pena di vivere? Per Luca, si è convinto Andrea. Per salvare tutti i Luca di domani.
Quest’uomo di 39 anni non è più solo un dirigenteall’azienda di ristorazione «Copra» di Piacenza. È diventato il papà di ogni bambino che rischia di essere dimenticato sul sedile di un’auto. E l’ha fatto via Facebook.
Gli sono bastati un tablet e molte ore libere come ne ha avute dal 4 giugno in poi (oggi dovrebbe essere dimesso). Ha creato un gruppo intitolato a suo figlio, «Mai più morti come Luca». E ha spiegato al mondo quale sarà da ora in poi la sua missione di vita: «Evitare altre tragedie simili» lanciando e appoggiando una proposta di legge che prevede l’installazione obbligatoria sulle macchine di un dispositivo in grado di avvisare se, una volta sceso il conducente, restano sull’auto altre persone, in particolare i bambini piccoli nei seggiolini. Il progetto di legge, già annunciato alla Camera il 13 giugno, ha bisogno di sostenitori e nel giro di una settimana Andrea ne ha già trovati 4.800, come ha scritto lui stesso in un post di ieri pomeriggio.
Dalla folla infinita del web arrivano centinaia e centinaia di messaggi di solidarietà, comprensione, incoraggiamento. Ma anche qualche insulto. E lui non nasconde il disappunto: «Tra le mille parole d’affetto ho notato il proliferare di insultatori o di gente che non ha capito lo spirito del gruppo. Per insultarmi o parlare con me scrivetemi in privato se siete Uomini».
Una platea senza confini, Facebook. Alla quale Andrea parla da padre di Luca ma anche da uomo innamorato come non mai di sua moglie Paola. «Non vi ho mai parlato di lei», dice in uno dei messaggi più recenti come se avesse davanti un gruppo di vecchi amici. «L’ho conosciuta da ragazza e siamo sempre stati una cosa sola. La perdita di Luca l’ha distrutta e "perdonarmi" sarà l’atto d’amore più forte che le dovrò chiedere. Non vuole comparire, non ha un account Facebook ma è sempre accanto a me, nonostante tutto, e io l’amo con tutte le mie forze».
Dovranno bastargli, quelle forze, quando rimetteràpiede a casa dove tutto parla di Luca, quando rivedrà i suoi giochi e i vestitini, quando sentirà il suo profumo… Ieri Andrea ha provato a immaginare tutto questo. Ecco cosa ha scritto: «Misto di gioia e timore, con la certezza che il dolore fin qui ovattato dai farmaci esploderà. Affronterò ogni cosa di volta in volta, ho gia un’agenda per la prossima settimana, ho gia incontrato l’avvocato che si occuperà della Fondazione (una Fondazione per Luca, ndr), andremo avanti passo a passo. Se rimarrete tanti con me in questa battaglia ce la faremo, ma non voglio fans, come qualcuno ha detto ieri….».
Niente fan, perché in questa storia non c’è niente e nessuno da tifare. C’è un bambino morto asfissiato a due anni, come altri prima. Come Elena, 22 mesi, morta a Teramo nell’auto del padre a maggio del 2011. Lucio e Chiara, i suoi genitori, hanno scritto un post per Andrea: «Siamo con te (…) te e tua moglie dovete farvi forza e coraggio, i nostri Angeli ci guidano».
di Giusi Fasano