di Alessandro Logroscino
GAZA/TEL AVIV, 15 APR – Una morte atroce per mano di una frangia estrema di quel popolo palestinese alla cui causa si era dedicato da sempre, anima e corpo, anche a costo di sfidare il carcere israeliano. E’ finita così, a 36 anni, l’avventura umana di Vittorio Arrigoni, l’attivista italiano rapito ieri nella Striscia di Gaza, sua terra d’elezione, e ucciso nel giro di poche ore con disumana ferocia da un gruppuscolo locale di dichiarata matrice salafita: ispirato al verbo jihadista di Al Qaida e ostile da posizioni ancor più radicali al ‘governo’ islamico-nazionale di Hamas che controlla l’enclave dal 2007.
Il suo corpo è stato ritrovato nell’angolo di una stanza spoglia, riverso su un materasso, in un appartamento del rione Qarama, a Gaza City, usato dai sequestratori come covo. Aveva indosso un giaccone nero, i polsi erano legati, con tracce di sangue sul volto e profondi segni rossastri attorno al collo. Secondo un primo referto medico, sarebbe stato strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile. Un epilogo agghiacciante, giunto all’improvviso dopo il rapimento di ieri mattina – rivendicato dalle brigate Mohammed Bin Moslama, sigla salafita finora poco nota – e la diffusione d’un filmato su YouTube in cui Arrigoni appariva malconcio ma vivo.
Mentre i sequestratori annunciavano un ultimatum di 30 ore (cioé fino alle 16 di oggi) per ottenere da Hamas la liberazione di un contingente di "confratelli", pena la morte di quell’ostaggio che additavano come ‘corruttore’ occidentale dei costumi islamici e cittadino di "un Paese infedele". Invece, tutto si è consumato molto più in fretta. E quando i miliziani di Hamas sono arrivati nel cuore della notte al covo, dopo aver arrestato un primo militante salafita, il volontario italiano era già senza vita. Stando ai primi esami – e in attesa che la salma sia restituita alla famiglia, dopo la riapertura del varco di Eretz fra la Striscia e Israele prevista non prima di domenica mattina – Arrigoni sarebbe stato ucciso fin dal pomeriggio di ieri. O al massimo a tarda sera. Comunque ben prima della scadenza del ricatto. L’ipotesi più plausibile é che la banda di rapitori fosse decisa ad assassinarlo sin dall’inizio, o al primo intoppo serio, non essendo abbastanza forte e attrezzata per gestire una detenzione di lungo termine. Hamas, che durante l’irruzione nell’appartamento di Qarama ha eseguito un secondo arresto, non mostra di aver in ogni caso dubbi sulla matrice.
Il portavoce Fawzi Barhum ha additato apertamente i salafiti liquidandoli come "degenerati fuorilegge che vogliono seminare disperatamente anarchia e caos". Fonti del ‘ministero dell’Internò di Gaza hanno a loro volta ammesso l’esistenza di fenomeni di "settarismo religioso" dietro il crimine, preannunciando a chiare lettere una caccia al salafita. Parole di dura denuncia sono arrivate da lì a poco direttamente dal capo del governo di fatto di Hamas, Ismail Hanyieh, che ha chiamato in prima persona la madre di Arrigoni, Egidia Beretta, per rendere onore all’ucciso, salutato come un eroe "della lotta contro l’assedio israeliano". Ma anche dal fronte moderato dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Condanne unanimi rimbalzavano frattanto dall’Italia, da parte del governo, della Farnesina, del presidente della Camera e di esponenti di tutti i partiti, oltre che del mondo delle organizzazioni pacifiste e della sinistra antagonista vicine ad Arrigoni. Il presidente Giorgio Napolitano ha inviato alla famiglia un messaggio nel quale definisce l’assassinio "una barbarie terroristica" e più tardi, da Bratislava, ha chiesto a nome dell’intero Paese chiarezza sulle responsabilità di questo crimine. Un crimine censurato con parole severe anche dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, e dall’Ue. Sbigottimento e dolore si rincorrono intanto a Gaza – territorio ripetutamente sconsigliato ai viaggiatori dalla Farnesina anche per le difficoltà ad assicurare l’assistenza ai connazionali – dove manifestazioni spontanee di cordoglio si sono susseguite per tutto il giorno: in particolare di pescatori e contadini ai quali Arrigoni s’era offerto in passato come ‘scudo umano’. Conosciuto più di ogni altro cooperante a Gaza – con il suo inconfondibile berretto, la pipa e i tatuaggi da marinaio – Vittorio Arrigoni era del resto di casa nella Striscia fin da quando vi era sbarcato nel 2008, con una delle prime flottiglie filopalestinesi salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele all’enclave dopo l’avvento al potere di Hamas.
E la sua salma, esposta all’omaggio dei visitatori nell’ospedale Shifa di Gaza City – lo stesso nel quale "l’amico italiano" era solito accompagnare ambulanze con i feriti nelle settimane della sanguinosa offensiva Piombo Fuso condotta due anni fa da Israele contro Hamas -, ha attratto file di persone commosse. "Vittorio era un fratello – ha esclamato fra gli altri con le lacrime agli occhi Khalil Abu Shamallah, promotore d’una associazione per i diritti umani a Gaza -, era venuto fra noi per rompere l’assedio israeliano, lasciando la sua patria e la famiglia. E qualcuno di noi l’ha ucciso. Perché?".