I libri, come si sa, sono spesso delle straordinarie finestre sul mondo e quello che più stupisce, talvolta, è la varietà di scenari che ripropongono pur essendo entità statiche: le parole sono immobili ed i panorami cambiano, a volte si ribaltano ed un libro può lasciar scoprire dei particolari, o degli aspetti diversi, anche dopo decenni, secoli o millenni.
Certo è che, al di là degli studi eruditi che continuano sui grandi classici, questa verità è alla portata di tutti ed anche il più banale romanzo, se letto una seconda volta da chiunque, sortirà un effetto certamente diverso rispetto alla prima lettura, proporrà sicuramente un qualcosa di nuovo che puntualmente desterà meraviglia nel lettore.
Allora nasce l’interrogativo: ma l’autore ha previsto o voluto tutto questo? Voleva lasciar intendere proprio questo significato? Non lo sapremo mai fino in fondo e spesso neanche lo stesso autore immagina minimamente ciò che trasmette e tantomeno può prevedere il variare del senso della sua opera nel tempo.
La ragione di tutto ciò è molto semplice: la finestra è creata dall’autore ed anche il panorama ma gli occhi sono del lettore e con la stessa veduta si possono avere mille orizzonti diversi.
In alcuni casi però è chiaro che l’intento è quello di velare in qualche modo ciò che si vuol comunicare, soprattutto nel passato, magari per ragioni di censura, per timori di ritorsioni o anche semplicemente per scelta di stile.
Il romanzo “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift del 1726, più noto come libro destinato ai bambini, è in realtà un’opera di feroce satira politica, di dura critica alla società ed ai regnanti inglesi. Eppure, per l’insolito aspetto fiabesco che lo caratterizza, che non era più di una maschera dell’opera, è tutt’ora, dopo quasi trecento anni, un racconto di elevata fama ed interesse per i più piccoli.
Oltre a tutto questo, andando ad analizzare la semplice storia del personaggio Gulliver, il mero concetto che lo stesso uomo in posti diversi si ritrova ad essere gigantesco o minuscolo, ha una valenza straordinariamente attuale in senso sia scientifico che sociale.
Per le conoscenze dell’epoca, non si poteva certo avere cognizione della relatività delle grandezze, non si poteva minimamente immaginare il divario tra particelle sub atomiche e certe magnitudini cosmiche di cui solo dal XX secolo si ha piena contezza. Eppure Swift esprime con Gulliver l’idea concreta che in realtà non esiste ciò che è grande e ciò che è piccolo, ma solo differenze di dimensione.
Lo stesso concetto di relatività trova applicazione anche nel sociale, ove non esiste una scala di valori in grandezze ma solo differenze culturali che mai dovrebbero giustificare prevaricazioni né sottomissioni.
In senso metaforico, il confronto tra il più grande ed il più piccolo in un contesto di assenza di valori assoluti è da intendersi come induzione alla giustizia dell’umiltà ed, al tempo stesso, all’alienazione della frustrazione per il senso di inferiorità.
Insomma, seppur nato nel ‘700, Gulliver è l’uomo di oggi, o meglio, quello che dovrebbe essere l’uomo di oggi: consapevole della propria collocazione nell’universo, dei propri limiti e più attento nel cercare di conoscere e convivere con se stesso piuttosto che puntare a tutto il resto.
Ma queste analisi sono solo sensazioni soggettive, sono le riflessioni scaturite da una recente affacciata al panorama dei Viaggi di Gulliver, un’istantanea scattata sull’orizzonte dagli occhi di un lettore a cui è piaciuta tanto da bambino la favola di Swift e l’ha riletta dopo oltre trent’anni.
Gerardo Zarone