Lo facciamo con due nostre risorse, il dott. Claudio Gliottone e l’ing. Gino Gelsomino. genuinamente sidicine, sfacciatamente amanti della loro città e che negli ultimi periodi si sono confrontati, seppure a distanza, quasi snobbando il fatto materiale cioè l’ Incontro , definito addirittura para-storico, e concentrandosi semmai sulle conseguenze di quell’evento, cioè l’Unità d’Italia. Due posizioni contrapposte che meritano di essere approfondite e sulle quali non si discute mai abbastanza.
Sul 26 ottobre io la penso cosi!
Claudio Gliottone
Ancora un 26 ottobre. Ancora la sentita necessità o la malcelata vanità di adire a celebrazioni di un evento che definirei, nei fatti, “para-storico” , l’incontro tra Vittorio Emanuele e Garibaldi,
Para-storico, perché in sé e per sé non rappresentò altro che il casuale ritrovarsi di due eserciti combattenti per la stesso obiettivo su due fronti, uno proveniente dal sud, l’altro dal nord. Non una vittoria da celebrare o una sconfitta da compiangere: le vittorie c’erano già state d’ambo le parti e quelle certamente contano di più.
La grandezza dell’evento è semmai tutta di carattere simbolico, perché in quel preciso istante si avvera una speranza partita da tanto lontano e nutrita dal pensiero, dall’azione, dalla lotta, dal sangue di tanti italiani.
La storicità non sta nell’incontro, ma in tutto quello che l’ha preceduto e che mai nessuno avrebbe immaginato potesse concludersi nella stretta di mano di due personaggi così rappresentativamente diversi: l’uno sovrano della più antica casa monarchica d’Europa, l’altro un giramondo rivoluzionario e repubblicano, un guerrigliero vero e proprio. Due mondi antitetici che “si incontrano” per la realizzazione di un progetto comune: l’Unità d’Italia. Ognuno di loro porta sulle proprie spalle le speranze di migliaia di pensatori, di intellettuali, di poeti, di politici, di eroi e di gente comune; porta il retaggio di tante azioni, complotti, guerre, spedizioni, tentati sollevamenti popolari, tutti indirizzati ad un unico fine, l’Unità d’Italia. Unità che in quel momento si compie, con la loro stretta di mano; e questa va ben oltre ogni significato di conquista geografica, perché rappresenta anche un momento “politico” mai ripetuto da allora in poi nella esistenza della nazione Italia: la rinuncia di un leader repubblicano e rivoluzionario alle sue idee più progressiste, ma pericolose per la loro attuazione, e l’accettazione di un sistema più affidabile proprio in virtù della sua già affermata esistenza. Dove questa stretta di mano, così pregna di tanti significati, abbia avuto luogo, è cosa di effimera importanza. Se la contenda pure il Comune di Vairano, ma quello di Teano non cada nella trappola di scendere sullo stesso terreno, fatto di sterili e puerili riferimenti geografici.
“L’Incontro di Teano” è e resterà sempre un simbolo, e come tale resterà con quel nome. Nulla di più ridicolo che recitare, con ipocrisia tutta politicamente italiana, “l’incontro di Teano avvenuto a Vairano”, come titolava un articolo a firma di Sergio Rizzo apparso sulle colonne del Corriere della Sera qualche giorno fa; nulla di più controproducente che mettersi a discutere sul chilometro, sul ponte, sulla taverna, sulla sedia, sulla panca, realmente o volutamente coinvolte nel “fatterello”. Non so più quante volte ho consigliato ai personaggi che contano, di volare alto, ispirandosi al “simbolo” dell’Incontro di Teano, e non alla competizione geografica sulla ricerca dei siti.
Teano rappresenta la prima conclusione del Risorgimento Italiano: celebriamo questo in omaggio e ricordo di quello. Nel nome di Teano studiamo e approfondiamo tutto quanto sta alla base della unificazione di Teano: e ce n’è da fare! Perché il discorso, l’ho detto prima, parte da molto lontano.
“ Quando io ripenso a quei calabresi ed abruzzesi, basilicatesi e pugliesi, e napoletani di Napoli, che agitavano ardenti problemi politici nei giornali repubblicani della Cisalpina e in opuscoli e fogli volanti, che entravano nelle legioni italiane allora formate, che prendevano servizio presso francesi o presso i nuovi governi democratici, e quando leggo i documenti delle relazioni e amicizie che essi allora legarono con lombardi e piemontesi e liguri e veneti dico tra me: ecco la nascita dell’Italia moderna, della nuova Italia, dell’Italia nostra” . Così Benedetto Croce splendidamente riassumeva, in poche e significanti parole, il lungo cammino e la grande partecipazione di belle persone che portò alla “Italia nostra”. E parte dagli avvenimenti di fine ‘700, quando, infiammati da puro spirito giacobino, tanti intellettuali, dal De Deo al nostro concittadino Lauberg, dalla nobile De Fonseca a Domenico Cirillo, a Mario Pagano , sognarono già una nazione unita e moderna, da realizzare magari con l’aiuto francese, repubblicana e democratica, e con questo irrealizzato sogno salirono sui patiboli fatti allestire da Ferdinando IV di Borbone e dalla sua consorte Maria Carolina d’Asburgo. I martiri della Repubblica Napoletana del ’99 e, prima ancora della congiura del ’94, traditi da lazzari, furfanti e preti; e poi i moti del 1821, i caduti sulle barricate della cinque giornate di Milano, i morti di Brescia, la spedizione dei fratelli Pisacane, il sacrificio dei fratelli Cairoli, i morti di Calatafimi e del Volturno.
E colgo l’occasione per citare la interessante ricerca di un teanese, il Prof. Lorenzo Picierno, sul patriota Lauberg, questo nato certamente a Teano ( e Vairano non dica il contrario!) , che fu il primo Presidente della Repubblica Partenopea del 1799, della cui edizione ho avuto l’onore di occuparmi e che vedrà luce tipografica quanto prima.
Il glorioso riassunto di tutto questo è l’Incontro di Teano! E’ la vittoria contro l’ “Ancien regìme”, contro i tiranni, i popoli sopraffattori, le ingiustizie e le dominazioni, è la creazione per un popolo intero di una nazione mai posseduta, è la conclusione della nostra “stagion più bella”, il Risorgimento.
Claudio Gliottone
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Gino Gelsomino
Voglio premettere anzitutto che il celebrato incontro, per quanto mi riguarda, è certamente avvenuto, ed altrettanto sicuramente avvenuto a Teano. Quello che invece voglio fare è un breve compendio degli avvenimenti commemorati in questi giorni. No, non voglio tediarvi con un racconto rifatto del famoso incontro. Al di là del fatterello cronachistico che tutti più o meno conosciamo , ed al di là dell’orgoglio dei concittadini di abitare nella città che ospitò il famoso incontro, quello che vorrei sottolineare è cosa c’era dietro all’avvenimento e, soprattutto, cosa ha comportato per noi, di modo che chi lo ricorda, o lo commemora, o addirittura la festeggia, sappia cosa fa. Non date per scontata la conoscenza di quegli avvenimenti o la loro irrilevanza; anche io fino a qualche anno fa non consideravo di alcuno interesse quel periodo storico, ritenevo sufficiente ciò che era stato studiato a scuola, e comunque ormai sembrava una cosa cristallizzata, come le guerre napoleoniche o la rivoluzione francese. Dirò di più, nel 1982 avevo fatto parte del comitato per la ricorrenza del centenario della morte di Garibaldi, con tutto quel che implicava, mosso dal desiderio non tanto di ricavare effetti turistici, parola troppo grossa, ma di tener viva la notorietà della nostra città. Anzi, tranne qualche storico lungimirante, in genere lontano dall’accademia, la storiografia ufficiale aveva ritenuto fondato quel che fino allora era stato tramandato, un po’ per inerzia ed un po’ perché tantissimi documenti erano ancora inaccessibili, a cominciare da quelli di fonte borbonica.
Allora, cosa avvenne? Dunque, all’epoca i regni erano considerati proprietà personale delle dinastie, checché affermassero Statuti e Costituzioni, ed era abbastanza normale che passassero di mano da una dinastia all’altra senza che i popoli fossero minimamente interessati. Basti vedere cosa successe al Regno di Napoli negli ultimi anni del ‘700 e nella prima metà dell’800, passato dai Borbone alla Repubblica Napoletana, quindi ritornato ai Borbone, poi conquistato da Giuseppe Bonaparte, quindi da G. Murat, quindi ripassato ai Borbone ed infine ai Savoia. Perciò, che su quel trono potesse sedersi, ad esempio, Garibaldi una volta liberatosi di Francesco II, non era così scandaloso. Quindi, in questa ottica, anche regalare, o scambiare, un territorio con un’altra nazione non era strano: l’aveva appena fatto il Savoia regalando Nizza e Savoia, regione di origine della dinastia, a Napoleone III. Anche oggi, in tempi di democrazia e libertà, questo fatto viene accettato tranquillamente, come dimostrano gli avvenimenti dell’Ossezia o della Crimea. Era strano però che un “conquistatore” occupasse uno Stato e lo cedesse pacificamente ad un re rispetto al quale era completamente alieno. Ci sarebbero da scrivere fiumi di pagine sulle ipotesi che sono state fatte, provate o solo supposte. Ve le risparmio. Fatto sta che avvenne, anzi avvenne di più: il Regno di Napoli, o delle Due Sicilie, indipendente con alterne vicende da secoli, addirittura dal XII secolo, con quella donazione di Garibaldi perse per la prima volta la sua indipendenza, ridotto ad una provincia periferica del regno piemontese. Garibaldi, da un punto di vista cristiano, ha meritato il perdono perché si è pentito amaramente (tra tante affermazioni, cito l’ultima del 1880, due anni prima di morire: “Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione”) anzi pare che il figlio Ricciotti abbia combattuto addirittura nella guerra di liberazione,cosiddetta dei Briganti, ma dal punto di vista storico credo che quel perdono non gli possa essere concesso. Se quell’avvenimento è stato per noi positivo o negativo, se il Sud, ridotto a meridione, o a terronia come dicono tanti, è stato avvantaggiato o meno, è questione di opinione solo perché si nega l’evidenza dei fatti. I milioni di emigranti (già tra il 1870 e il 1880 emigrarono più di un milione di persone) le cui rimesse hanno consentito alle industrie del nord di prosperare, o, ancora oggi, il fatto che quelle industrie si reggono sulle esportazioni a Sud mentre i nostri figli sono costretti di nuovo ad emigrare, è dato dalla realtà delle cifre. Già A.Gramsci scriveva:”La miseria del Mezzogiorno era inspiegabile storicamente per le masse popolari del nord; esse non capivano che l’Unità non era avvenuta su una base di uguaglianza…il nord concretamente era una piovra che si arricchiva alle spese del Sud, che il suo incremento economico industriale era in diretto rapporto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale”. Che parole moderne! Oggi una delle nuove terre di emigrazione meridionale è l’Albania. Quand’è che c’è stata la forte emigrazione degli albanesi? 15-16 anni fa? In 15-16 anni l’Albania è diventata da terra di emigrazione, terra di immigrazione: e noi terra di emigrazione lo siamo ininterrottamente da 150 anni! Allora, abbiamo guadagnato o no dalla colonizzazione dei piemontesi? Perfino i lombardi, ed i milanesi in particolare, erano avversi ai Savoia, nelle cui grinfie cercarono di non cadere, come è evidente dagli scritti di Carlo Cattaneo, uno dei capi delle Cinque Giornate, o di Cristina di Belgioioso, ed il Savoia conquistatore non fu mai accolto da folle osannanti, come del resto a Napoli, checché ne dica la mitologia ufficiale. Tornando all’avvenimento che ci interessa, quel giorno il rappresentante di uno Stato si impadronì di uno Stato sovrano senza nemmeno dichiarargli guerra e combattendo praticamente una sola battaglia.
Oggi noi celebriamo e mettiamo ghirlande non ai caduti della Nazione aggredita, soldati di uno Stato sovrano, di cui anche Teano faceva parte, che cercarono di difendere strenuamente e che furono imprigionati (stiamo parlando di quasi 50.000 uomini) e barbaramente soppressi nelle prigioni del nord solo perché, avendo giurato fedeltà al loro legittimo Re ed alla loro bandiera, si rifiutavano di giurare all’usurpatore, e tra i quali è probabile ci fosse qualche nostro bis-bis-nonno; ma agli aggressori, ai cui nomi sono dedicate strade, piazze e lapidi! E’ questo che commemoriamo?
Gino Gelsomino