È uno dei dirigenti che ha descritto Alexandria ai magistrati di Siena. Ore di deposizione raccolte ai primi di gennaio, alla fine delle quali ha depositato molti atti tra cui lo schema-Alexandria. Ma a parte i documenti consegnati, i tanti che aveva nella sede del Monte sono misteriosamente spariti insieme ai suoi documenti personali.
I magistrati senesi gli hanno chiesto di fare l’autopsia alla finanza derivata made in Siena e lui ha dato persino prova di tutti i warning inviati ovunque ai vari livelli della banca.
Va premesso che il dirigente in questione è stato per anni alla guida di una Filiale Estera del Gruppo Montepaschi e chiede di rimanere anonimo solo perché teme ritorsioni che potrebbero compromettere il suo futuro lavorativo. Anche perché è stato tra i primi dirigenti ad essere licenziato dal nuovo management senza apparente spiegazione e ora è ancora senza lavoro.
A chi lanciò il suo allarme? Snocciola i nomi: dal direttore generale Vigni all’Audit interno, dal capo dei crediti al risk management fino a tutti i capi dell’Area Estero. «Dissi a tutti che Alexandria era un mostro dormiente che si sarebbe risvegliato presto». Reazioni nessuna. Fu preso per visionario. Molti sapevano e arrivarono presto i guai e fu fatto rimpatriare con pochissimo preavviso, tanto che la Financial Services Authority, che regolamenta l’attività finanziaria, inviò una lettera a Rocca Salimbeni nella quale chiedeva perché venisse rimosso. «Ma risposte naturalmente non ne arrivarono».
Come è noto Alexandria venne pianificata dall’Area Finanza diretta da Gianluca Baldassarri che «riceveva ordini dai direttori generali che si sono avvicendati in quegli anni». Perché «nessuno può davvero pensare che fare tutti quei derivati e investire 25 miliardi di euro in Btp poteva essere una decisione assunta dal solo Baldassarri».
Il desk di Londra si occupava della gestione dei fondi di capitale della banca. E in troppe operazioni sono stati usati broker stranieri per intermediare titoli. «La via di utilizzare i broker piuttosto che quella di trattare direttamente con un’altra banca è sicuramente molto poco trasparente». Dietro le commissioni si intravedono ben altre operazioni.
Come funziona l’investimento su un titolo dove c’è un broker come intermediario? «Facciamo l’esempio di un titolo che vale nominalmente 100 milioni e il cui vero valore di mercato sia 97. In questa differenza si infila il diavolo». E il diavolo che fa? «Diciamo che lo si può pagare 98,5, quindi più 1,5, lasciando questo 1,5 al broker intermediario. A questo punto possono capitare due cose: i tassi si abbassano e il titolo sale diciamo fino a 105. La banca ha guadagnato 6,5 milioni ed è contenta. Se invece i tassi si alzano e il prezzo del titolo scende a circa 95 la banca comunque decide di tenerselo fino a scadenza quando sarà rimborsato a 100 e quindi in ogni caso presenterà un profitto di 1,5 rispetto al prezzo pagato. Comunque vada ci guadagnano tutti: il broker, la banca, ma molto meno di quel che avrebbe potuto. Però tanto nessuno se ne accorge».
Tra i broker usati per confezionare Alexandria si è parlato della coreana Coyro, di Lutifin, di Enigma services ma potrebbero non essere tutti. All’ex dirigente chiedo se sa che nel 2007 l’Area finanza di Baldassarri aveva investito decine di milioni di dollari su un prodotto strutturato chiamato Anthracite legato alla performance dei fondi della società londinese Tarchon di Alberto Marolda, fratello di Giovanni che con Raffaele Ricci erano i capi salesman della Dresdner Bank, gli uomini che con Baldassarri pianificarono Alexandria. Annuisce. Chiedo ancora se sa che uno dei consiglieri indipendenti del nuovo Cda di Montepaschi è l’avvocato Michele Briamonte, allievo prediletto di Franzo Grande Stevens, consulente dello Ior e membro dell’advisory board del fondo Tarchon. Risposta secca: «Sembra che le cose facciano veramente fatica a cambiare».
Paolo Mondani