Abbiamo già affrontato questo tema, ma le non troppo sibilline provocazioni del nostro Direttore ci spingono a tornare sullo argomento.
E’ vero, Pasquale: nella tua disamina psico – sociale sulle patologie di massa hai evidenziato come, una volta intrapresa una via di recessione, la si continui a percorrere scendendo sempre più in basso, complice “l’abitudine” che ci fa adeguare al peggio, quasi con satanica soddisfazione.
E’ così che si invertono le prospettive e si continua, forse anche senza accorgersene, a cadere sempre più in basso individualmente non meno che socialmente: si alterano le finalità dell’esistenza di sé e della società e si perseguono, spesso in deprecabile automatismo, obiettivi inidonei.
Hai citato la “sindrome di Diogene” che adatta “a vivere in ambiente insalubre e pericoloso per sé e per il vicinato”, ma qui mi sento di fare qualche personale considerazione a difesa di questo filosofo amatissimo da Alessandro Magno il quale, rimbrottando i suoi generali che lo stavano prendendo in giro proprio per il suo modo di vivere, esclamò “ Smettetela; io se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene”.
Orbene Diogene è stato l’antesignano degli odierni “barboni”, personaggi troppo spesso condannati o discriminati per il loro modo di vivere, ma la sua filosofia mirava esclusivamente alla “essenzialità della vita”, il cui principale obiettivo era quello di essere vissuta in tutta la sua interezza direi “organica”, senza coinvolgimenti emotivi che potessero distoglierla dal suo “essere”.
Sintomatici sono due episodi della sua vita: l’unica cosa che possedeva era una ciotola di legno con la quale attingeva l’acqua ad una fonte per potersi dissetare, ma quando vide un bambino che lo faceva portandosi l’acqua alla bocca con i palmi delle mani congiunte, gettò via anche quella perché si era reso conto che poteva farne a meno. O quando allo stesso Alessandro che, paratoglisi di fronte dopo un viaggio fatto apposta per andarlo a conoscere, gli chiedeva “cosa posso fare per te?” rispose semplicemente: “spostarti, perché mi togli la vista del sole”. Così il mondo assistette al colloquio di due Grandi!
Riabilitata la figura di Diogene, passiamo, “filosoficamente” come ci chiedi, a fare altre considerazioni sulle cose giuste che esprimi nel tuo articolo.
Tutto l’Universo è dominato da una sola grande forza: il movimento! Tutto, ma proprio tutto, la terra, tutto quello ch’è in essa presente, il sole, le galassie, le stelle sono in continuo inarrestabile movimento per cui nulla è fermo o permane nel medesimo posto per più di un secondo: è il succo, volgarizzato, del principio di relatività di Einstein, per cui ogni calcolo o previsione o studio dell’universo deve tener conto di questa costante mobilità.
Mobilità che, traslando l’attenzione al nostro piccolo pianeta, ha costantemente animato tutto ciò che esso contiene: dalla formazione e conformazione dei continenti alla loro separazione per deriva, dalla nascita della “vita” alla sua continua espansione e mutazione, dalla comparsa dell’ uomo alla sua costante evoluzione da “erectus” a “sapiens” ed a “sapiens sapiens”. E la cosa, impercettibilmente per noi, continua istante per istante.
Ed eccoci arrivati al progredire: perché oltre a quello che riguarda la “natura” esiste un progredire della “umanità”, ed è anch’esso imprescindibile da noi.
Qui, caro Pasquale, la domanda dalla difficile risposta: ma cosa dobbiamo intendere per “progresso”? Un andare avanti in quale maniera, ma soprattutto verso dove?
Credo che per “progresso” si debba intendere un “miglioramento costante e continuo delle condizioni di vita”, la ricerca ed il superamento delle limitazioni che si oppongono ad esso, lo studio e l’attuazione di tutte le possibilità di crearlo, essendo queste ultime cose ognuna la premessa per l’altra. Perché l’importante sta proprio in questo: che un positivo avanzamento in ogni possibile settore apre infinite strade a nuove applicazioni. Ad esempio dalle scoperte di Volta, di Pacinotti, di Meucci, di Marconi, siamo arrivati a quel poderoso strumento che è il telefonino cellulare, al di là degli usi poco consoni che se ne possano fare.
Così dalle donne trascinate per i capelli nelle caverne dagli uomini primitivi, come nella più classica iconografia fumettistica, siamo passati a Samantha Cristoforetti che dirige una stazione astronomica girando per mesi attorno alla terra!
Ma anche per queste cose, ahimè, esiste quella “assuefazione” alla quale facevi riferimento, Pasquale, per cui ci scivolano addosso come facenti parte di una banale “normalità”. Appartiene alla nostra umana costituzione.
In questo quadro risulta allora chiaro che un arresto del “progresso” diventa istantaneamente un “regresso” e questo sovente avanza e si autoalimenta pericolosamente.
Rifacendoci alle realtà locali nelle quali viviamo o siamo costretti a vivere, ad esempio, il deterioramento di una strada lasciato a se stesso comporta il deterioramento del suo impianto elettrico, di quello fognario, lasciando che la natura si riprenda con la vegetazione i suoi spazi: di conseguenza interi settori abitativi, o produttivi o commerciali, subiranno danni enormi che si ripercuoteranno poi su gran parte della vita sociale di quella zona. Si è instaurato così un processo regressivo che andrà avanti espandendosi e generando, come sottolineavi, quel malefico aspetto della assuefazione al peggio.
La cosa peggiora di molto quando questo “fermo biologico” non riguarda le realtà cittadine circostanti che sono invece molto più accorte a simili problemi e verso le quali vengono deviate per forza di cose la economia e la produttività danneggiata nelle prime; e tornare indietro, a cose sistemate con calma dopo il danno prodotto, sarà sempre più difficile.
Una ultima cosa: quale atteggiamento assumere personalmente di fronte a tanto?
Hai citato il piacere di Leopardi nel “naufragare in questo mare”.
Io, personalismo per personalismo, visto il fiato che tu ed io e pochi altri hanno nel tempo sprecato, concluderei invece con qualche verso di Giuseppe Ungaretti:
“ Non ho voglia di tuffarmi
in un gomitolo di strade.
Ho tanta stanchezza
sulle spalle.
Lasciatemi così
come una cosa
posata in un angolo
e dimenticata.
………………….”
Mi fermo qui, certo di aver espresso, almeno nelle intenzioni, anche una “filosofia produttiva”.
Claudio Gliottone