Le storie dell’umanità sono colme di bellezza, perché in qualche modo ci appartengono tutte. Sono la nostra antropologia e non solo culturale. Tutto ciò che per camminare ha bisogno delle nostre gambe, siamo noi. Anche le storie che sembrano lontane dal nostro battito cardiaco portano in sè una dimensione umana che le trascende, strutturandole in una postura politica, perché poste in essere dall’uomo per l’uomo. La scuola erroneamente ha applicato una sorta di manicheismo tra la storia delle materie umanistiche e le discipline scientifiche, convincendoci che si debba avere una predisposizione ,una sorta di vocazione per le une piuttosto che per le altre. La storia della matematica è una di quelle a cui tanti uomini hanno dedicato una vita intera di studi, come fa a non essere umanistica oltre che tecnica? Ha in realtà un fascino incredibile e mostra quanto essa sia democratica, quanto basti da sola a sviluppare l’idea di comunità. La matematica da un senso di realtà ontologica molto più profonda di quanto i numeri sembrino contenere e lo fa senza il supporto di alcuna filosofia. Ci dice che non è tutto uguale, che ogni cosa è ciò che è. Se esiste il risultato, esisto io e quindi esiste il mondo, ed è un mondo relazionale. C’è una verità nella matematica che va ben oltre le sue equazioni; la fa essere un apprendistato per la rivoluzione: è qualcosa che ti dispone a non accettare la verità assoluta-il capo, chi ci domina, l’autorità imposta, l’indiscutibile-. Hegel ci ha insegnato che le certezze camminano con l’evolversi della coscienza, ma forse oggi abbiamo perso il senso ontologico di ciò che siamo, godiamo e soffriamo in un sistema che ci sembra intrasformabile. E’ una sorta di stato imperituro che è l’esatto contrario della rivoluzione. La democrazia senza comportamenti democratici non esiste, così come non esiste cultura senza comportamenti culturali. La cultura si ciba di parole, più parole conosciamo più pensieri possiamo articolare; ma anche le parole in questa società mercatistica sono saccheggiate, finiscono per entrare in registri semantici politicizzati, arrivando a non poter essere più utilizzate senza cadere in un rimando di un preciso colore politico. Si è andato strutturando un registro simbolico per cui i migranti diventano una categoria, smettendo di apparirci come esseri umani. Parole come onore, patria , identità, nazione sono ad appannaggio delle destre come concreti strumenti di lotta politica. Nell’Italia berlusconiana c’è stato un vero e proprio imbarbarimento linguistico-politico, frutto di uno slittamento di concetti e parole che venivano volutamente decontestualizzati e sviliti nei significati. Le sinistre hanno fatto loro termini come lotta di classe, comunitarismo, solidarietà, uguaglianza , mortificandone nella storia recente i contenuti ma anche le forme. E’ politicamente scorretto parlare male della democrazia, ma può essere intoccabile qualcosa che di fatto fa star male i cittadini? Non saranno invece abusi di democrazia questi atteggiamenti che producono un malessere così diffuso? Il valore semantico delle parole sembra essere legato al contesto sociale, politico, ma anche economico. Sembrano essere queste, cose di poco conto, ma l’uso di una parola al posto di un’altra comporta una trasformazione del pensiero. La lingua è una struttura dinamica, che cambia continuamente. La matematica è anch’essa un linguaggio, si insegna nelle scuole di ogni ordine e grado, è accessibile a tutti, è anche questo a renderla altamente democratica. Eppure sembra essere la materia che spaventa di più, sembra imposta. Forse perché ci si perde dietro le sue formule dimenticando il tempo e lo spazio che le aveva generate. Questo fa sì che la matematica si allontani dal cuore umano e diventa qualcosa per alieni, qualcosa di misterioso quasi. E’ anche vero che chi se ne innamora non sarà mai ricambiato, è difficile accedere alla sua dimensione etica. Ci dicono che necessita di una predisposizione naturale, ma come è possibile questo,visto che i numeri di naturale non hanno proprio nulla. Anche il linguaggio matematico, come tutti gli altri linguaggi è stato inventato dal cervello umano . Com’è possibile che ci sia bisogno di qualcosa di istintivo per cose che sono invece culturali? Eppure in qualche modo abbiamo introiettato questo pensiero. Gli studenti affrontano la matematica con timore reverenziale, predisponendosi con maggiore difficoltà verso qualcosa che dovremmo facilmente assorbire, in quanto sistema, in quanto metodo creato per facilitare il difficile. Il principio causale è ciò che ci ha fatti sopravvivere alle altre specie, ci costituisce. La causa efficiente non ha mai motivato nessuno. Come, quando e perché insieme, sono l’inconoscibile. La loro connessione resta indispensabile per capire il possibile. L’interdisciplinarietà è una ricchezza che la specializzazione estrema del nostro tempo va distruggendo. La matematica, contrariamente alle stratificazioni del nostro immaginario, è utile per sciogliere le complessità, usa un linguaggio simbolico che funziona sempre, sia quando siamo tristi che quando siamo felici, rappresenta un principio di realtà che in situazioni estreme è sembrata salvifica. Ad Auschwitz quando facevano le medie matematiche per la logistica, facevano esistere in qualche modo qualcosa di esterno a quell’ orrore. Se esistono cose esterne da te ti ci puoi appigliare, salva uno spazio dall’orrore che non è orrore, è una percezione di libertà, di salvezza, ti dice che non sei del tutto solo. La media matematica in mezzo all’orrore era qualcosa di esterno all’orrore, faceva esistere una realtà altra, fuori da quella. Certo qui la matematica non è più mera risoluzione dell’errore, è un oltre che trascende sè stesso e che ancora una volta unisce il fisico a quel metafisico tanto vituperato da chi fa scienza dura credendo che Dio giochi a dadi con l’universo -è la celebre frase di Einstein nella lettera al collega Bohr ,che con la meccanica quantistica faceva andare il mondo all’incontrario, a suo vedere- L’errore ha valore inestimabile per la matematica quanto per il cammino dell’uomo, la verità stessa ne necessità per poterne essere il superamento. L’errore è l’unica cosa che dimostra la nostra esistenza, la nostra cultura cristiana ne opacizza la bellezza perché fa in modo che sia percepito come giudizio di valore. L’errore ci da l’altro che ci corregge , ci da il tempo. Il mito del genio della matematica non esiste, i matematici si appoggiano al lavoro di altri matematici, ogni cosa che facciamo è percorso, proprio come fa il bambino quando cade e si rialza. Il sistema è quello dei sassi di Pollicino; lo studio è questo, è lasciare quei sassi per qualcun altro che non deve iniziare daccapo. Il valore sta sempre nel saper cogliere le relazioni. La cultura, quella che ti cambia la vita, è contaminazione, non è lo studio della matematica o della letteratura ,questo è solo il processo orizzontale. Poi ce ne è uno più aulico, quello verticale, che sta nella capacità di sentire il mondo, nel tenere il filo tra quello che impariamo e il resto degli uomini, cogliendo ogni possibile anello relazionale della catena umana. E’ quindi il processo in sé a contare non il risultato, quante volte ce lo siamo sentiti dire, ma come lo dice Gramsci non lo dice nessun altro. Si dice che Gramsci faccia una filosofia impura proprio perché guarda alla prassi, è questo a porlo più vicino a noi e forse è anche ciò che sottrae forza speculativa alla sua filosofia. Noi non spacchettiamo le nostre opinioni, non le verifichiamo, non le svisceriamo, crediamo sempre non ci sia tempo per questo. Il tempo, il risultato, l’obiettivo mancato ci ossessionano, ma l’obiettivo stesso è un processo, non è mai qualcosa di fisso, serve per essere superato. La matematica è legata all’attesa, è anch’essa relazionale; si dice che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, ma perché non esistono? La matematica è una forma di immaginazione anch’essa, esiste nella nostra testa, non esistono cerchi perfetti in natura, educa ad un’immaginazione che prescinde dal reale. Avere il coraggio di servirsi del proprio intelletto è un giusto modo di educare alla vita. Imparare a interpretare è indispensabile, perché io l’altro lo rispetto solo se lo interpreto. L’interpretazione è un modo di volersi bene. L’educazione è un fatto di cura per l’altro, anche per insegnare il teorema di Pitagora va dato al ragazzo un offerta di senso. La matematica è anch’essa sogno? Il suo pensiero deduttivo è trasmissibile attraverso un linguaggio non sentimentale, del resto Simone Weil- grande come matematica non meno di quanto lo fosse come filosofa ( non a caso suo fratello Andrè era assistente di Einstein)- scriveva nei suoi Quaderni che nella persona c’è qualcosa di molto più grande dei sentimenti, qualcosa di impersonale, un vuoto come unico spazio accessibile al sacro. Tutto è collegato per Simone, la matematica è un anello relazionale che ci aiuta a vedere la bellezza del mondo. E’ fatta di regole e le regole sono tali se condivise. Sono le regole a costituire una comunità,non l’autorità. Sono tante le prospettive per accedere alle mappe cognitive del mondo, ogni volta che ne apriamo una essa ci costringe ad applicare il nostro sapere costituito per rinnovarlo, aggiornarlo, facendolo evolvere con altri linguaggi e ancora di più con altri orizzonti di senso. Per Heidegger è l’unica maniera per ESSERCI, per uscire dall’inautenticità del SI DICE, del SI PENSA , che mai ci farà cogliere il senso dell’ESSERE . Questo è il “ DASAIN “ (l’esserci ) del mondo heidggeriano, è il rapporto intimo e originario di ognuno di noi con la nostra gettatezza che fa essere reale il mondo. Perché l’etica è la bellezza autentica dell’uomo, è l’estetica delle relazioni umane. E’ così che possiamo emancipare il mondo dall’invidia, dall’egoismo, dalla cattiveria. Può essere un modo per rendere il nostro cammino entusiasmante e per accorciare le distanze dall’impossibilità di essere contemporanei di noi stessi.
ANNA FERRARO
Le storie vere sono quelle che non ci mentono mai. Ma i più ripiegano spesso verso forme e contenuti consolatori, edificanti . Diventa difficile così amare la matematica, ma anche amare Leopardi :” Così tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Pensate, immaginate, sognate, questo ci dice l’Infinito di Leopardi, proprio come fa la matematica con i suoi teoremi che cercano l’esistenza o l’inesistenza di Dio. E’ l’immaginazione a renderci vivi , sono i sogni inseguiti a dar valore al nostro esserci . Leopardi” l’Infinito” lo scrive a 21 anni, era un ragazzo che parlava ai ragazzi con una potenza poetica enorme, figlia di un nesso inestricabile tra genio e giovinezza. Perché la poesia è un linguaggio eversivo per animi inquieti: perché i giovani se non sono inquieti sono inquietanti.
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