La dissipazione appartiene al lessico morale ma originariamente è un termine energetico, non etico. Lo scarto tra coscienza e potenza fa si che la coscienza subisca lo scacco della potenza. Anche volendo restare stretti alle leggi della fisica non c’è un solo sasso libero di cadere indipendentemente dalla forza che la gravità esercita su di esso. Nietzsche si dice avverso alle morali che dicono di “ non farlo “, di rinunciare, ma la virtù è proprio il contrario della dissipazione, è proprio lo stare nei limiti. Certo è, che noi siamo anche volontà di potenza e questo si manifesta nel nostro desiderare, nella nostra voglia di espansione, nell’esigenza primaria di affermare noi stessi; è come dire che frenarci, stare nella giusta misura, non è congruente con la potenza che pur siamo, che come ogni potenza non si conserva- o cresce o diminuisce-. Il modernismo è tutto concentrato su questo fare individualistico, senza tener conto che l’autoformazione deve avvenire in relazione agli altri, lo deve essere la stessa libertà, che senza il carattere dell’universalità implode nella sua stessa struttura concettuale, per quanto di concettuale la libertà possa contenere ontologicamente. Ogni potenza vuole sè stessa , tende ad espandersi per sua natura, ma noi come coscienza non sappiamo quanta potenza siamo. Questo è ciò che rende necessario dare misura alla potenza finita che siamo, già solo per un fatto meramente fisico, lasciando stare il “ SI DEVE “ di Kant, altrimenti c’è dissipazione, ci dissolviamo. Oggi è più vero che mai, siamo costantemente stimolati da un sistema che lavora sulla nostra parte desiderante, sulle nostre pulsioni, che, nonostante il principio di realtà messo a punto da Freud per promuovere una nostra emancipazione civile su quella istintuale, continuano ad essere la nostra vera natura, quell’originario che lascia un piccolo scarto alle scelte che crediamo di fare in perfetta autonomia. Una sorta di forza esterna alla volontà voluta, che permette al nostro desiderio di tenere in corto circuito la coscienza. Detto così sembra complicato da individuare ma è poi facile da vedere nella compulsione al consumo, nella persuasione politica, nell’assoggettamento agli slogan, nella potenza della rete, della quale siamo tutti succubi. Gli influencer non parlano alle coscienze, danno solo segnali, impulsi, non devono dialogare con noi, ma dominarci . La rete ha esagerato la stimolazione e- come insegna Hegel- la quantità influenza sempre la qualità : la coercizione produce ribellione, la stimolazione ottiene consenso. Noi ci crediamo liberi, ma lo siamo per davvero ? Siamo costantemente stimolati in un’unica direzione che signoreggia su tutto l’occidente : il consumo. Essere padroni della propria libertà è cosa difficile, essere liberi è saper scegliere, non è più voglia di, ma volontà voluta, non è impulso ma ragionamento. Ci vuole lavoro per questo, perseveranza, impegno intellettuale. La mente ci mente, è la ragione che ci ragiona. Le mappe cognitive ed emotive che costruiamo nell’infanzia sono propedeutiche ad un cammino che va riempito di senso, altrimenti non ci allontaneremo di molto da quegli impulsi che , per quanto naturali, vanno emancipati per poterci elevare alla cifra costitutiva dell’essere uomo, del Dasein direbbe Heidegger, per la sua ontologia esistenziale. Uno dei paradigmi della mancata evoluzione dagli impulsi umani è la forma con cui tanti ragazzi hanno trovato la maniera di giustificare questa assenza evolutiva con una violenza che si presenta come la legge del più forte, ma solo perché nasconde un vuoto di senso enorme: il bullismo .Il bullo non ha avuto uno sviluppo sufficiente delle sue mappe costitutive, tant’è che si esprime a gesti, con la violenza, che si manifesta sempre accompagnata dalla mancanza di logos. Senza mappe emotive il bullo non ha risonanza sentimentale per l’atto che sta compiendo, senza quelle cognitive gli è sottratta una intera gamma di sentimenti, che sono un fatto culturale, si imparano i sentimenti, non ce li abbiamo solo perché veniamo al mondo. E ancora pensiamo di poter sostituire una scuola che educa ad una che distribuisce competenze. Sono in tanti a pensare che la cultura classica abbia ormai una ricaduta al quanto inutile, non aiuti a trovare lavoro, quasi nessuno si preoccupa più di formare uomini ancora prima che funzionari di apparati tecnici. L’umanità sta subendo una involuzione antropologica, è lo stesso nostro modo di amare che ne esce compromesso. Siamo ancora vittime del potere dell’amore o siamo più vittime dell’amore per il potere? Tutti andiamo ripetendo che la bellezza e la dignità sono quelle dei piccoli gesti, ma poi è tutto così veloce che lo acquisiamo come reale solo se qualcosa di estremo ci attraversa, tanto da fermare quella corsa affannosa del quotidiano, quel linciaggio delle ore, fino a farci avvertire come concreta necessità l’armonia con gli altri. Tante volte siamo noi stessi a rinunciare ad essere grandi, a compiere atti che ci pongono alle vette più alte delle possibilità umane, come il rispetto per l’altro, che gratifica me più di quanto faccia con chi lo riceve, perché sono io ad elevarmi massimamente a me stesso . Rispettando l’altro misuro la mia dignità nello stare al mondo ,ma se i tempi della vita moderna non mi consentono neanche di contemplarlo l’altro, diventa difficile, ci viene posto come un impegno, quando va bene come un dovere che non riesce a tenere il passo con il più apparentemente gratificante rispetto per le etichette sociali, per regole fasulle, non a caso il nuovo imperativo categorico è il dress code : che l’abito faccia il monaco è sempre stato un interrogativo dalla dubbia risposta, ma non più se l’immagine è sussunta a verità assoluta, così come lo spirito del tempo si affanna ad affermare. La nuova educazione coincide con l’osservanza di precetti, con la conformità a norme sociale che sostengano il politicamente corretto, perché i moderni sudditi vedano nella castrazione subita un nuovo senso di appartenenza. Era ciò che faceva dire alle nonne che vivevano di pensione sociale, che Berlusconi avrebbe incarnato le loro istanze. E’ questo un tempo segnato massimamente dalle ingiustizie sociali, dalle diseguaglianze, ma chi si azzarda a farlo notare è tacciato di invidia sociale, se non di complottismo. Nessuno dice che viviamo in un sistema a risorse scarse, se sono pochi a detenerne la fetta più grande, sono anche quelli più responsabili nei confronti di quella parte del mondo che è stata sempre oppressa dal mondo ricco. Il super ricco è una sorta di accaparratore non solo di risorse naturali ma anche del benessere dei lavoratori che di fatto producono i loro profitti, nella frustrazione che di tanta ricchezza prodotta ai loro figli non arriverà neanche più quel minimo, una volta detto sindacale, che rendeva possibile quel riscatto sociale che riduceva il senso di malessere prodotto da una vita votata esclusivamente al sacrificio. Realizzare il sogno del figlio laureato dava un senso a quella busta paga che riproduceva l’asservimento al sistema e poco altro. L’eccesso di ricchezza oltretutto mal distribuita, in una società non è mai un fatto benefico, se la società vuole essere sana. Già Socrate separava l’economia come necessaria alla gestione della casa, dalla crematistica che guardava alla ricchezza fine a sè stessa. Un accumulo di ricchezza esponenziale non è mai moralmente legittimo verso la comunità . Come fa la sperequazione a porsi come legittima se è mancanza di equo criterio distributivo. Come si fa a giustificare l’ingiustizia sociale con l’invidia sociale, come se fosse solo una questione di punti di vista. I classici fornivano le mappe per non muoverci a mosca cieca, per questo non vanno più di moda; le mode mai sono innocenti , non c’è mai un pensiero ingenuo dietro, non sono mai opera del senso comune, nè dell’uomo della strada. Se leggiamo Aristotele scopriamo che la giustizia è volere il bene dell’altro, altro che invidia sociale. Ecco perché la cultura classica non serve più , sarebbe difficile legittimare un sistema che ha reso ricco soltanto l’1% dell’ umanità e convincere l’altro 99% che a loro è toccata una briciola della torta perché non sono stati altrettanto scaltri e che gli resta da evitare l’invidia sociale, in modo da conservare perlomeno la dignità. La storiella aristotelica dei flauti spiega bene come poterci muovere all’interno della giustizia rispettando la verità e non identificando i massimamente contrari. Oggi solo i classicisti sanno chi sia Aristotele mentre il resto del mondo confonde, senza timore di essere smentito, il bene con l’aberrante. Con la storia dei flauti ci si chiede a chi sia più giusto dare i flauti migliori: al più bravo a suonarli? ( del resto lo scopo dei flauti è quello di essere suonati bene ), al più povero che li rivendica, per non avere altro accesso possibile a nessun altro giocattolo ?o a chi si è impegnato a costruirlo ? ( col proprio lavoro e dedizione ). Ognuno di loro lo meriterebbe seppur per motivi diversi; questo dice che dietro l’idea di giustizia possono esserci diverse posture che per quanto alternative sembra essere tutte giuste. L’utilitarismo, egualitarismo e la logica liberista : l’utilitarista tende a tener conto dello spreco, che si verificherebbe dando il flauto a chi non sa suonarlo. Chi invece è per l’uguaglianza darebbe il flauto al più povero per compensare la sua indigenza, mentre il liberista terrebbe naturalmente conto del sacrificio di chi ha costruito il flauto col suo lavoro. C’è un criterio di giustizia più valido degli altri ? E’ il contesto che deve aiutarci a decidere? E’ possibile assumere criteri di giustizia aprioristici ( come fa il diritto positivo )? O è più giusto decidere a seconda delle condizioni con una logica di priorità, riducendo al minimo i danni per il soggetto ? La giustizia astratta non è mai sufficiente a coprire i casi concreti, Antigone ha ragione su Creonte , la giustizia senza la grazia perde la dimensione umanistica , svilendo il suo stesso statuto concettuale. Come facciamo a parlare di giustizia in un mondo governato da algoritmi e sistemi stocastici. I sistemi matematici creano una loro realtà; il capitale umano, le competenze, sono parti di un sistema concettuale che ingloba la vita sociale. Ci sono strumenti precisi, c’è un linguaggio performante, un apparato burocratico che li traduce in realtà . La statistica seleziona gli elementi da valutare , rimuovendo quelli che non sono omogenei ai criteri adottati. Questa è la trasparenza del neoliberismo, si fonda sull’idea di eliminare tutto ciò che non rientra nei suoi algoritmi, facendolo passare come arbitrario. Sembra contraddittorio associare la burocrazia al neoliberismo, che rivendica una deregolamentazione continua, ma non sono affatto antitetici come potrebbe sembrare. La burocrazia è perfettamente funzionale al mercato ,le procedure amministrative esauriscono in sè stesse il proprio scopo , fagocitando il fine che richiedeva il loro uso. Vediamo come le procedure di valutazione sono assurdamente più rilevanti rispetto agli stessi processi educativi delle scuole, ma anche a quelli lavorativi che non attenzionano mai abbastanza la sicurezza sul lavoro. La matematica è fatta di regole, è quanto di più democratico ci sia, ma se l’uomo decide di farne un suo sbagliato rende perversa perfino la statistica . C’è un caso eclatante nella storia dei processi penali che ci lascia vedere come anche dietro la regola più trasparente non è scontato raggiungere la giustizia sperata . La verità del 2+2 =4 non tollera l’errore, perché non c’è spazio di manovra alcuna, ma i circuiti della statistica sono invece tolleranti necessariamente all’uso che se ne vuole fare . Per l’omicidio della moglie Nicole Brown ,O. J. Simpson sarà assolto anche grazie ad un calcolo statistico ( la probabilità dell’ombrello ) apparentemente consistente, ma sbagliato. I dati dicevano che su 4 milioni di donne picchiate dai conviventi, era solo 1432 il numero di quelle uccise, su questa base la giuria si convinse della sua innocenza . La direzione della domanda sarebbe dovuta partire da un altro dato statistico molto rilevante : se una donna che viene ammazzata veniva picchiata dal convivente qual è la probabilità che sia egli stesso l’omicida? La risposta sarebbe stata il 98% e avrebbe lasciato poco spazio all’immaginazione .Da qualsiasi stazione partiamo, qualunque sia il binario di partenza , il viaggio filosofico ci porta sempre alla stessa meta, a quella della necessità di un’autentica etica , dell’unica grazia possibile , quella della ragione umana che abbraccia continuamente ogni errore per consolarlo con la verità. Sarebbe l’unico modo possibile per fare del presente uno spazio migliore del passato ,che non andrebbe preso a prestito per farne un uso retorico ma per scongiurare tutti gli eventi che hanno aggravato la condizione umana tanto da farle desiderare le catene alla libertà. Magari evitando di imbatterci in un Presidente del Consiglio che prende le distanze da una vignetta satirica e non sul fatto che della teoria sulla sostituzione etnica stigmatizzata dalla vignetta, marcatamente suprematista e neonazista, si sia fatto portavoce un suo ministro, per inciso marito di sua sorella. Pensare non è solo conoscere, è attitudine a discernere il bene dal male, la bellezza del mondo dalle sue brutture, per poter prevenire quelle catastrofi sociali che come insegna la storia,necessitano della nostra distrazione ( Hannah Arendt ). Il fascismo non sarà mai un’opinione politica, prima ancora di essere un crimine contro l’umanità è stato un sistema organizzato, sono stati 20 anni di regime militare, dirlo non è lesa maestà- è onestà intellettuale-. Ricordiamolo per il 25 Aprile, facciamo che il valore dell’antifascismo sia un valore condiviso, oltre che fondante della nostra costituzione.
ANNA FERRARO