Cominciamo con il dire che questo argomento, fin troppo denso di significato, viene proposto in due momenti così da renderlo più fruibile, sacrificando il senso dell’intero nella speranza che l’attesa stimoli il pensiero.
L’entusiasmo è un motore della vita, fa sì che riceviamo molto più energie di quelle che investiamo nei progetti, ponendoci in debito con essa. La risposta positiva da parte di tanti giovanissimi alla proposta di Questa Officina di Filosofia (con la quale proveremo a spingere i nostri pensieri al di là dell’ovvio) è stato l’inatteso, l’inaspettato, che poi è ciò che il desiderio che ci abita tenta di realizzare senza dirlo alle nostre aspettative che mal sopportano le delusioni. Per restare fedele alla promessa di trattare tematiche a noi vicine non potevo che partire da loro, dai giovani, che poi sono i nostri figli, i nostri nipoti, i loro amici, gli amici degli amici; se pensassimo in questi termini sarebbe veramente facile restar loro fedeli. Ma questa è una società che, spesso, neanche ha più contezza dei sentimenti e quando ne ha li taccia di retorica. Il politicamente corretto (politically correct) vieta i nessi necessari, a valere è un intelletto astratto che costringe la ragione in un corto circuito che vieta il salto logico dal politicamente corretto all’eticamente corrotto. È parte di quel linguaggio asservito al pensiero unico che fa diventare lo spazzino un operatore ecologico, l’angolo dei cassonetti un’isola ecologica e l’infermiere un operatore sanitario, come se fosse la parola a fare la differenza e non i sentimenti che mettiamo nel pronunciarla. Tutto diventa più presentabile, l’ingegneria sociale ne esce gratificata e le nostre coscienze pulite. Questa è l’epoca delle passioni tristi, il futuro per i giovani non agisce più come motivazione. Nessuno li chiama per nome, resta la vodka a difenderli dall’insignificanza sociale. La ricaduta per il mancato riconoscimento è drammatica perché l’identità non ce l’abbiamo perché siamo nati ma è un dono sociale, il frutto del riconoscimento altrui. Siamo una società che prescinde dai suoi figli rinunciando così al massimo della forza fisica, biologica, intellettiva e sessuale. Il luogo delle decisioni sembra essere l’economia, ma i fini dell’economia sono anche i nostri? Denaro e tecnica inverano davvero l’uomo? I giovani si rassegnano facilmente, hanno smesso di essere rivoluzionari. La parola che va più di moda è resilienza. Hegel dice che la rivoluzione è possibile solo laddove c’è una doppia volontà: lo tematizza nella dialettica servo-padrone. Queste due figure sociali non sono più in antitesi, sono tutte e due dalla stessa parte contro il monoteismo assoluto: il mercato, che con i suoi algoritmi è un signor nessuno, con chi te la prendi? È facile rendere i giovani reazionari anche se suona come un ossimoro e non solo letterale. Dietro questa anonimia del mercato ce n’è una ancora più insidiosa, attenzionata dai più come mero strumento esosomatico (quindi a disposizione dell’uomo) che usato bene genererebbe progresso e sviluppo: parliamo della tecnica. La filosofia educa alla radicalità, costringe il pensiero a non fermarsi ai bagliori della prassi, mostrando come la tecnica sia molto di più di quello che sembra essere; è il non visto del nostro tempo, è l’uomo moderno, è la sua forma mentis. Non esiste un uso buono e cattivo dello strumento tecnico, è l’uso in sé a trasformarci. La tecnica è la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo, raggiunge i massimi scopi con l’impiego minimo dei mezzi, questa è la razionalità tecnica, è più alta anche del mercato. L’economia ancora soffre della passione umana del mercato, invece la tecnica è soltanto pura razionalità, siamo già nel disumanistico. L’aspetto ancora più inquietante è che la tecnica contrariamente a quanto pensa l’uomo della strada ha un suo scopo: il suo stesso autopotenziamento, la sua autoreferenzialità. Per questo motivo tutte le forze che in Occidente ne fanno uso (la democrazia, lo stesso cristianesimo) vengono da essa fagocitate, loro malgrado. I più grandi paradigmi a sostegno di questa tesi sono la fine del comunismo, del socialismo reale, dell’URSS, ma anche la democrazia e il cristianesimo non godono di buona salute. Il potenziamento dello strumento tecnico sarà il risultato non voluto e diventerà il fine ultimo di tutte le cose. La domanda è: cosa la tecnica può fare di noi, non cosa possiamo fare noi della tecnica. Vi lascio con questo interrogativo, chiudendo la prima parte di un argomento denso e impossibile da comprimere in una unica battuta. Regalarsi il tempo per fare filosofia è un emancipativo atto di ribellione. I giovani hanno il diritto e anche il dovere di essere eversivi.
Anna Ferraro