Caro Direttore e cara Anna Ferraro,
alla quale, come al primo, mi piace dare dell’amichevole tu, plaudo con molto interesse alla vostra proposta di iniziare su questa pagina un dialogo sulla filosofia, materia che mi ha sempre appassionato e che, sono sicuro, potrà appassionare molti lettori.
Comincerei col dare sostegno alla tesi pubblicata dalla amica Anna proprio in merito alla importanza di questa umanistica scienza speculativa e lo faccio con un mio articolo pubblicato lo scorso luglio sul mensile locale “Il Sidicino”.
In esso contesto proprio ad un carissimo amico, scienziato di chiara fama, docente universitario di Astronomia e già Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Napoli, la sua visione esclusivamente scientifica dell’Universo.
Un piccolo approccio alla vostra lodevole iniziativa che spero abbia un appropriato numero di lettori e di collaboratori.
E mi piace anticiparvi che tra questi ultimi ci sarà presto anche una mia brillante amica del Beneventano.
Proviamoci senza timore.
TRA SCIENZA E FILOSOFIA
Di grandissimo interesse, come tutti gli altri, l’articolo del Prof. Massimo Capaccioli, del quale mi onoro di essere amico, pubblicato sul quotidiano “Il Mattino” il 24 luglio u.s.
Da grande scienziato è, direi “naturaliter”, portato alla concretezza della fisica non lasciandosi ammaliare che da poche o verune concezioni filosofiche.
Non manca di sottolinearlo proprio in quest’articolo prendendosela con Comte il quale aveva affermato che “ a proposito di stelle, tutte le indagini che non possano ricondursi a semplici osservazioni visuali […] ci sono necessariamente negate” ribadendo il concetto che avremmo potuto ipotizzarne la forma, le dimensioni, ma mai la composizione chimica, la densità o la temperatura.
Il Nostro confuta queste affermazioni narrando di come la scienza solo qualche decennio dopo, grazie alla scoperta della spettrografia, sia riuscita a ricostruire anche la chimica dei corpi celesti.
Conclude allora così: – attenti dunque a quei filosofi che vi dicono cosa “logicamente non può essere”. Essi giocano con solo poche carte di tutto un grandissimo mazzo ancora da aprire, immemori dell’ammonimento di Amleto, il Principe triste, all’amico Orazio: “Ci sono più cose in cielo e in terra, di quante ne sogni la tua filosofia” -.
Assolutamente d’accordo, ma le giuste riflessioni di Massimo sul progresso costante degli scienziati che, per dirla con lui, giocano sicuramente con più carte che non i filosofi non mi spingono a disconoscere completamente l’esistenza di limiti oltre i quali non è possibile andare se non ricorrendo alla filosofia.
E’ infatti proprio Einstein ad affermare: – La scienza non può essere considerata autosufficiente, nel senso che esiste una continuità tra pensiero scientifico e pensiero comune. Per questo lo scienziato non può accontentarsi del proprio ambito di specializzazione, ma deve diventare “filosofo” -.
Ora per “pensiero comune” dobbiamo intendere quella messe di esperienze sensoriali e delle connessioni tra esse che crea anche il concetto di “realtà esterna” la quale alla fine costituisce il campo di studio della fisica. Le esperienze sensoriali, intese come esperienze psichiche di tipo particolare, comparate e raffrontate con quelle di altri individui, portano alla formazione dei concetti di oggetto corporeo o di oggetti corporei di varia conformazione che sono più solidi proprio perché non basati sulla individualità. Quindi il “mondo reale” possiede una giustificazione perché legato con le impressioni sensoriali per le quali esso stabilisce una connessione mentale. La cosa più sorprendente resta il fatto che la totalità delle nostre esperienze sensoriali attraverso il pensiero può essere ordinata e finalizzata alla comprensibilità del mondo esterno, che Kant affermava sarebbe privo di senso senza la sua “comprensibilità”. Ad esempio già Galileo, scienziato non meno che filosofo, enunciò il principio della razionalità della natura che “per comun senso non opera con l’intervento di molte cose quel che si può fare con mezo di poche”.
Questo della “comprensibilità” , e dunque della razionalità della natura, resta un principio indimostrabile che lo tesso Einstein definirà un miracolo, perché la sua aderenza ad assiomi dettati dall’uomo pone il dubbio se essa sia intrinseca alla natura o attribuita ad essa dal soggetto pensante.
Era infatti convinto che, a priori, sarebbe stato più probabile “un mondo caotico del tutto inaccessibile”.
Significativa la lettera che scrisse, tre anni prima di morire, al suo amico filosofo Maurice Solovine:
“E veniamo al punto interessante. Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo o un eterno mistero. Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il “miracolo” che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze.
È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dei, ma anche dei miracoli. Il fatto curioso è che noi dobbiamo accontentarci di riconoscere “il miracolo” senza che ci sia una via legittima per andare oltre. Dico questo perché Lei non creda che io –fiaccato dall’età– sia ormai facile preda dei preti.”
La scienza non escluda la filosofia: sono entrambe grandi manifestazioni del pensiero umano.
Claudio Gliottone