Il 14 febbraio è una ricorrenza particolare. No, non mi riferisco alla festa
commerciale di S. Valentino, sarebbe troppo scontato. Mi riferisco ad una
ricorrenza storica importante e purtroppo trascurata.
Il 14 febbraio 1861 è stato l’ultimo giorno di vita della nostra patria libera ed indipendente.
Quel giorno Francesco II e Maria Sofia lasciarono Gaeta dopo una guerra durata alcuni
mesi, sanguinosa, portata avanti con coraggio e determinazione, che segnò il
riscatto dell’onore dell’esercito del Regno. Furono i primi emigranti forzati, ne
seguirono alcuni milioni nel secolo e mezzo seguente. Andarono via senza
abdicare o rinunciare ai loro diritti, a seguito di una guerra mai dichiarata e
denegata fino all’ultimo, lasciando al popolo tutti i loro averi, depredati
immediatamente dagli invasori. Ê importante ricordare queste cose a chi le
ignora e soprattutto alle nuove generazioni che devono avere l’orgoglio delle
proprie origini e non vivere, come successo a tanti di noi, con la sensazione di
essere figli di un dio minore. Ma è importante ricordare, anche perché quella fu
l’origine di tanti mali della nostra nazione: la corruzione; il rilevante debito
pubblico; l’occupazione dello stato da parte dei partiti; la burocrazia onnipotente
e devastante. Voglio sgombrare il campo da un equivoco: un meridionalista
come me, polemizzando con un interlocutore, disse che non rinunciava
facilmente all’Unità perché l’avevano pagata i suoi progenitori, e sarebbe stato
troppo comodo dire abbiamo scherzato, torniamo a prima, considerato che
ormai noi siamo sul lastrico e loro sono ricchi.
Qualche tempo fa lo SVIMEZ pubblicò una ponderosa ricerca, elaborata
in parte su dati statistici della Banca d’Italia, "150 anni di statistiche italiane:
nord e sud 1861-2011" con un numero
impressionante di dati anche sull’evoluzione del PIL interno dal 1860 ad oggi. È
una lettura, ancorché noiosa (oltre 1000 pagine), molto interessante. Nel 1860 il
PIL del Regno delle Due Sicilie equivaleva, in termini assoluti, al PIL del resto
d’Italia; il numero di addetti nell’industria era anch’esso paragonabile al resto
dell’Italia, curiosamente quasi uguale al numero di addetti di oggi, con
l’avvertenza però che la parte più avanzata del settentrione, il Lombardo-
Veneto, faceva parte, con soddisfazione, dell’impero austriaco. Spesso viene
contestato, in maniera superficiale devo dire, che se il R2S era in condizioni
così floride non si spiega perché sia caduto come un castello di carta, nel giro di
alcuni mesi e ad opera di un migliaio di scalzacani. Non vorrei qua annoiare con
considerazioni storiografiche entrando in una questione ormai acclarata dagli
storici. Brevemente, l’invasione di Garibaldi ci fu in un momento ed in un luogo
particolari. Il momento, perché era appena salito al trono Francesco II, un
ragazzo di appena 21 anni senza esperienze, timido, introverso, ammaliato
dalla memoria della mamma, una Savoia tra parentesi, morta in odore di santità
nel darlo alla luce. Il padre, Ferdinando II, padre padrone della famiglia e del
regno, era stato nei primi anni un sovrano molto illuminato, che aveva cercato di
modernizzare sia le strutture economiche che sociali del suo regno avendo
come riferimento Parigi e Londra. Francesco era circondato da vecchi bacucchi
inetti ed incapaci, e cercava di seguire gli insegnamenti del padre: farsi i fatti
suoi, tenere lontano il Regno da qualsiasi bega esterna. Era quindi un momento
di estrema debolezza per le strutture del Regno. Il luogo poi. L’invasione fu
effettuata in Sicilia, con una scelta ponderata perché la Sicilia era una terra
dove i Borboni ed i "napoletani" erano visti come il fumo negli occhi. A questo si
aggiungeva il fatto che era presente, con rilevanti interessi economici, una folta
colonia inglese, il cui governo nazionale era tra i promotori dell’avventura
sabauda e tra i finanziatori di Garibaldi, e se a qualcuno interessa, in seguito
spiegherò anche il perché. Qui basti sapere che quella invasione è stata la
plastica applicazione della teoria marxiana della storia. Lo sbarco avvenne sotto
la protezione di due fregate inglesi che impedirono il cannoneggiamento del
corpo di spedizione. A tutto questo si aggiunge l’opera di profonda corruzione
esercitata da agenti sabaudi nei confronti di ammiragli e generali duosiciliani.
Dopo l’annessione il popolo mostrò con decisione da quale parte stesse, con
una ribellione durata otto anni e stroncata a colpi di stragi e distruzioni. Anche
l’esercito non rinnegò i suoi giuramenti: i soldati accettarono di morire nei lager
del nord piuttosto che giurare fedeltà al Savoia.
Non tutti sanno che il governo piemontese (presidente del consiglio Luigi Menabrea, anno 1868)
concepì un piano pazzesco di deportazione della popolazione meridionale nel sud dell’Argentina,
in Patagonia, temperatura media 12 gradi sotto 0, in una zona completamente deserta,
operazione non andata in porto per il mancato accordo con il governo di quella nazione.
Ecco, queste sono secondo me le ragioni che dovrebbero spingerci a ricordare
il 14 febbraio, ricorrenza della memoria di questi fatti, festa del nostro orgoglio.
Gino Gelsomino