San Paride, anni 60
La festa del nostro Patrono San Paride è ormai alle porte: ci si chiede come sarà e, consapevoli del grave decadimento generale che ha subito lo stesso evento, si spera nella ripresa, un po’ com’è avvenuto lo scorso anno. L’ultima edizione, infatti, da che sembrava che il tutto si riducesse alla sola processione, in poco tempo la festa si è organizzata ed anche con un certo successo. Un certo successo però solo se la si confronta a quelle degli ultimi anni, ma se vogliamo seriamente parlare di successo e di grande avvenimento, ci tocca il solito tuffo nostalgico nel passato e quindi, per fotografare l’evento nel suo splendore, bisogna ritornare agli indimenticati anni 60.
Sotto l’aspetto religioso, essendo la festa del Patrono, quella di San Paride era sentita come la festa della città per eccellenza e quindi si distingueva da quella di Sant’Antonio che era, ed è caratterizzata tutt’oggi, dal fatto di essere meta di pellegrinaggio per devoti provenienti da diversi paesi limitrofi oltre che sede di fiera, peculiarità che la rendono in un certo senso di più ampio respiro.
Quella di San Paride quindi sentita, come festa in un certo senso più intima della cittadina sidicina, del centro storico allora molto popolato, vivissimo e splendido perché da poco risanato dalle ferite della guerra e quindi in condizioni decisamente migliori rispetto a quelle attuali. Centro storico che proprio in questa occasione vedeva ridisegnare i suoi contorni ed i suoi vuoti con delle spettacolari luminarie, attesissime perché sempre diverse, anno per anno, così come erano altrettanto attesi gli spettacoli pirotecnici. Memorabili restano due edizioni di quell’epoca, organizzate da tale Vincenzo Giglietti, quando la festa fu ulteriormente arricchita dal celebre e spettacolare incendio del campanile.
Quello che però creava certamente più aspettativa ed orgoglio cittadino era il cosiddetto “concertino”, ma quello principale e tassativamente di musica napoletana: il più atteso, che si teneva proprio la sera di San Paride, la più importante. In quegli anni Teano ospitò personaggi del calibro di Mario Merola, Nino Taranto, Maria Paris, Sergio Bruni e tanti altri.
A questo “concertino” principale si aggiungevano altre attrattive musicali, come il consueto concerto delle bande, generalmente pugliesi, per il genere più classico; le stesse accompagnavano la processione e si esibivano, itineranti, alla vigilia anche in mattinata. Non mancava lo spazio dedicato agli artisti emergenti, locali e non, come i “Cinque angeli” o il gruppo di Saverio Gammardella ed altri, che completavano la diversità dei generi proponendo un repertorio di musica leggera del tempo: insomma, ce n’era per tutti i gusti, la festa era veramente sentita e vissuta proprio da tutti, al punto che andava studiata una vera e propria tattica per procurarsi il proprio posto dal quale ci si potevano godere i vari spettacoli e non era semplice.
Ad esempio, piazzarsi troppo in anticipo sul muraglione per godersi in prima linea i fuochi d’artificio, era un sacrificio da veri appassionati, poiché significava perdersi almeno in parte lo spettacolo che li precedeva. Allora, talvolta, per anticipare il fiume di gente che si muoveva dalla piazza, con tanto di ingorgo causato anche dalle tante bancarelle, si studiavano percorsi alternativi, magari tra i vicoli di San Giovanni percorribili anche di corsa perché sgombri.
La cosa diventava più complessa per i concerti, perché anche anticipandosi nel piazzamento a fronte palco, si rischiava ad un certo punto di perdere posizioni per ragioni di cavi, di sicurezza o di incappare in discussioni, per motivi di copertura alla visuale della schiera di anziani signori o signore armati di sedie che parevano conferirgli un diritto equivalente ad una specie di concessione edilizia irrevocabile. Allora si puntava, specialmente in piazza Umberto I, ad impegnare con anticipo le superfici più alte come muretti, gradoni o soglie rialzate, oppure si era costretti ad una complessa analisi topografica per la scelta della posizione. Un gioco, spesso una specie di sfida e alla fine tutti dicevano di aver visto: la solita sfida in cui sono tutti vincitori.
Ma in quegl’anni in particolare, proprio nei giorni in coincidenza della festa, si concentrava il rientro di tutti gli emigrati. Erano veramente tanti, forse all’epoca risultava più gradevole la vacanza nella nostra cittadina che allora era piena di vita, anche perché ad andare fuori in vacanza non erano poi tanti e, chi lo faceva, sceglieva sempre un periodo che non toccasse la festa patronale.
Teano quindi al massimo delle presenze che superavano ben oltre quelle dei residenti, con automobili in giro con targhe di provincie del nord e soprattutto svizzere. Queste ultime poi, erano facilmente distinguibili anche senza le targhe: tutti bolidi fiammanti e tutte dotate di una serie di accessori che sembravano un po’ renderle aggressive fuori e tenere dentro. Infatti avevano spesso alettoni, assetto ribassato e vistosi marmittoni, mentre all’interno vi era un vero e proprio corredo, completo di tendine, caldi tessuti di rivestimento della tappezzeria, colorati cuscini e spesso i famosi cagnolini adagiati sul pannello del lunotto. Una moda, come tante altre, che però è sempre rimasta oltr’alpe, insieme a quella del mocassino con calzino bianco abbinato al pantaloncino corto.
Tutto questo rendeva la festa di San Paride un avvenimento sentito ed importante, sia per l’aspetto religioso che sociale. Poi si dice, ed è quasi una bestemmia, che “San Paride fa bene ai forestieri”: riflettondoci viene quasi da pensare che questo il detto sia veritiero, ma forse quando la città ed il Santo non sono onorati e rispettati dai teanesi.
Gerardo Zarone