La ricerca storica costituisce il miglior metodo di indagine in grado di apportare, sia attraverso l’esame di archivi che man mano si aprono agli studi, sia attraverso il reperimento di documenti originali custoditi nelle raccolte più disparate, elementi sostanziali alla comprensione di avvenimenti del passato. Nel caso della conoscenza delle circostanze che hanno portato alla caduta del Regno delle Due Sicilie credo sia l’unico, considerato quanto sia stato occultato e travisato di quelle vicende da parte della storiografia ufficiale: si dice, con qualche verità, che la storia la scrivano i vincitori, ma nel nostro caso c’è stato un vero e proprio travisamento col fine di annullare la nostra memoria storica, la nostra identità di popolo.
Il volumetto, nel senso solo del numero di pagine, di cui voglio parlare mi ha colpito perché, oltre che di vari argomenti che stanno a cuore agli autori, tratta di due aspetti finora posti in secondo piano negli ormai numerosi testi che finora ho compulsato: cosa è avvenuto nei tragici anni successivi al 1860 a sud della Basilicata; qual’era lo stato delle prigioni sabaude. Inoltre, è tracciato un curioso parallelo tra due personaggi diametralmente opposti: Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, e Angelo Manna, deputato al Parlamento del Movimento Sociale Italiano, meridionalisti convinti e studiosi della storia del Sud.
Perché ho considerato rilevante la narrazione di quanto successo in Calabria ed in Sicilia? Lo spiego subito. La Calabria borbonica non è sempre stata così come la vediamo oggi: una terra ricca di storia, di bellezze naturali, purtroppo di malavita, di emigrazione e soprattutto povera. Gli autori la considerano, fino al 1860, la regione più industrializzata d’Italia, e ne portano le prove fornendo un lungo elenco di industrie con la loro ubicazione ed il numero di dipendenti. Dopo, è stata letteralmente desertificata, con una politica di occupazione miope (a questo punto non so fino a che punto definirla tale), con gli abitanti che naturalmente cercavano di opporsi con tutte le loro forze, perseguitati, impoveriti e massacrati. Di recente ho letto un altro testo, scritto dal prof. Demarco, chiaramente e notoriamente non simpatizzante dei Borbone (se qualcuno è interessato lo posso illustrare), che analizza la struttura sociale del Regno del Sud dal 1815 al 1860 e che riporta macrodati non molto dissimili da questi. Se gli autori non si arrabbiano (tanto comunque lo sto facendo) riporto un brevissimo stralcio di una denuncia del deputato Vincenzo Sprovieri, a sua volta “liberatore”: “…da sette otto mesi cosa vediamo? Fucilazioni, guasti alle proprietà, 300 mila abitanti martorizzati, e niente altro, eppure Milon (colonnello dell’esercito savoiardo) dispone di cinque battaglioni di bersaglieri, di soldati di linea,…Tutto ciò per dieci briganti! In ogni cosa un limite è necessario e le attuali fucilazioni sono perfettamente inutili!”.
La Sicilia non è stata solo il massacro di Bronte, come pudicamente viene riportato nei testi ufficiali. Nel 1862, ed ancor più nel 1866, ribellandosi tra l’altro alla coscrizione obbligatoria che nell’isola non c’era mai stata, insorse in gran parte. Ci fu uno spargimento di sangue spaventoso, con le città, a cominciare da Palermo e Messina, bombardate dal mare e con una repressione da parte del generale Cadorna, che sfiorò l’eccidio: i soldati sparavano contro chiunque incontrassero, facendo in un solo giorno e solo a Palermo, 2.000 morti. L’acqua fu avvelenata, cosa che credo neanche i nazisti abbiano mai fatto. Nel libro è riportata una pagina di Napoleone Colajanni che rende bene il clima creato e le basi erronee su cui fu costruita l’Unità.
Infine, la questione delle prigioni savoiarde. La storia del Risorgimento è stata percorsa dalle famose lettere di lord Gladstone sulle prigioni di Napoli e sulle condizioni dei carcerati, quelle in cui definì Napoli “la negazione di Dio eretta a sistema governativo” (pare comunque che le prigioni non le abbia viste affatto). Comunque, il libro in questione riporta ampi stralci di un testo pubblicato nel 1866 e rinvenuto in una di quelle ricerche di cui sopra, “Prigioni e prigionieri nel Regno d’Italia” scritto da un deputato al Parlamento, Federico Bellazzi, che fa una descrizione puntuale delle orripilanti condizioni in cui erano le prigioni ed i prigionieri sardi. Riporta poi una lettera di lord Vernon del 1851 a Cavour nella quale, dopo una descrizione dello stato delle prigioni, chiede una soluzione al problema, soluzione evidentemente mai trovata se nel 1862 lord Lennox, in un dibattito al Parlamento inglese, insiste ancora sulle condizioni delle prigioni ormai italiane.
Naturalmente, il libro cita le fonti e riporta ampi stralci di tutto quanto sopra riportato.
Per chi vuole approfondire, il libro è di circa 100 pagine e si legge in maniera molto piana, anche se non molto piacevole.
Gino Gelsomino