Il Corso Vittorio Emanuele II inizia dalla Piazza già Umberto I e termina in Piazza Duomo: il “Giro per il Corso” era un poco più lungo comprendendo, da un lato, la piazza già detta e a volte anche piazza Vittoria e, dall’altro, le rampe del Vescovado, delimitate sul loro versante esterno dai famosi “poggetti” in perfetto stile “anni 50”. Verso quest’ultimo prolungamento ci si avviava, magari dopo uno o due giri “classici” alla ricerca di un po’ di intimità (parola grossa che qui sta ad indicare solo un modo di poter parlare meno distratto dall’ambiente): su uno di quei poggetti potrebbe stare ancora, scritta a matita, la frase che un quindicenne innamorato di tanti anni fa rivolse ad una sua amica: “Ti amo”. E forse potrebbe essere sopravvissuta anche la risposta, vergata sempre a matita: “Anche io”! Poi tra i due si frappose l’oceano.
Accadeva anche questo in quello splendido scenario di vita quotidiana che si esibiva ogni sera in un teatro dove era difficile distinguere gli attori dagli spettatori; si era tutti assieme l’una e l’altra cosa, e se ne gustava l’essenza volta per volta.
C’era il gruppo degli impegnati che discuteva sui massimi sistemi dell’universo politico e non, percorrendo la strada a velocità discontinuamente accelerata a seconda della profondità degli argomenti affrontati.
C’era il gruppo degli artigiani che, dismesso il lavoro, attendevano conversando con gli amici, l’ora di cena; c’erano gli studenti del grado medio, timorosi di incontrare qualche loro professore che potesse interrogarli il giorno dopo per averli sorpresi a passeggiare invece di studiare; c’erano pure quelli delle scuole superiori che già si atteggiavano per una entrée nel rango degli “impegnati”.
C’erano le famigliole che portavano a passeggio i figlioli, qualcuno sempre nella carrozzella a respirare i gas di scarico delle numerose macchine che transitavano perché mai si era riusciti a realizzare un’isola pedonale, neppure per due ore.
C’era gente che faceva gli ultimi acquisti nei negozi che ancora restavano aperti, perché anche gli esercenti partecipavano a quel coinvolgimento sociale che “il giro per il corso” rappresentava.
Si faceva, ad ogni giro, una piccola sosta in piazza Umberto o in Piazza Municipio, giusto per porre più attenzione a qualche discussione più impegnativa, o per guardare lateralmente la fiumana di gente che transitava e che già si era osservata di faccia; poi si riprendeva a girare.
Talvolta per noi quattordicenni scattava l’ora della sigaretta, che si andava a fumare, non senza l’apprensione di essere scorti da qualcuno che potesse riferire la cosa ai nostri genitori, nei vicoli dell’Annunziata, sulle macerie di guerra che ancora esistevano alle spalle dell’edificio della Confidenza Castallo. Era, allora, il top della trasgressione: qualche amico più audace, sul finire, tentava il colpaccio di suonare, per poi sparire, qualche campanello, suscitando le ire di chi si affacciava. Il più gettonato era il campanello della casa dove abitava il Canonico Castaldo, mitica figura curiale: ad affacciarsi per inveire, però, non era mai lui, ma il nipote “Pippetto”, fervente democristiano e grande sostenitore del senatore Giacinto Bosco.
E qui non possiamo non ricordare qualche altra bonaria figura di sacerdote, tutti canonici, che a quell’ora tornavano alle loro abitazioni dopo la celebrazione dell’Angelus: come dimenticare il Canonico Monti, che abitava in un’ala del castello, al quale correvamo a baciare la mano, incontrandolo talvolta di mattina, come per un buon augurio per non essere interrogati? O il severo Canonico Luigi De Iorio che abitava in piazza San Giovanni, ed era solito elargirci caramelle ma qualche volta anche dolorosi pizzicotti, o Don Carmine Latina. Non era raro incontrare anche il Vescovo Sperandeo, tampinato sempre, lo abbiamo già ricordato, dal buon Mimì “acqua”. Da quei tempi credo di non aver poi mai più visto altri vescovi così umanamente tra la gente, a condividerne un altro aspetto della vita. Peccato!
Eravamo alla metà degli anni sessanta: sulla faccia della terra eravamo complessivamente 2 miliardi di esseri umani e Teano contava 16.500 residenti. Oggi sulla faccia della terra siamo 8 miliardi (il quadruplo in più), ma a Teano ne risiedono poco più di 11.000 (un terzo in meno)! Ci sarà un motivo? Parliamone.
Da questo assunto partiremo, la prossima puntata, per valutare quel che non si è fatto e si poteva fare; e forse anche quel che si è fatto e non si poteva fare. E, naturalmente, i reconditi motivi.
Fateci pervenire sempre le vostre osservazioni. Grazie.
Claudio Gliottone