Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi Lc22,15-20 Fu proprio a ridosso della Pasqua di diversi anni fa che Mons. Sperandeo ci ordinò, senza il beneficio delle, repliche di precipitarci a recuperare le tre grandi tele della chiesa monastica di S. Maria Indentro (Cappelloni), che da gran tempo si disfaceva negli argentei pleniluni di pie intenzioni restauratorie. Prima che fossero involate da altrettanti "pii benintenzionati" o si frangessero nei flutti tumultuosi di un’umidità ferocemente incalzante, in un ambiente stillante solo salnitro e nostalgia. Ce lo ordinò in un batter di ciglio senza possibilità alcuna di riscontri o repliche. Mentre quel poderoso armadio semovente di Suor Clementina, cuoca tuttofare dell’episcopio, ci appiccicava addosso con robusta, grazia ruvide palandrane dal colore innominabile a protezione dei cumuli di polvere e delle palpitanti legioni di insetti che vi si erano insediati. Partimmo intrepidi., ma ci sgomentammo a fronte della realizzazione pratica dell’impresa. Poi come Dio volle riuscimmo in qualche modo a liberare quegli splendidi esemplari di arte figurativa e a caricarceli addosso come traballanti croci. Procedemmo in fila indiana, in religioso silenzio, addossandoci agli stretti vicoli deserti. Salimmo affannati i bassi gradini del settecentesco scalone dell’episcopio .Il Vescovo col suo largo sorriso ci aspettava nello spazioso salone, incartato nella sua solita zimarra casalinga, ma con tanto di croce pettorale, zucchetto e berretta da parata. Emise un flautato sospiro soddisfatto e soggiunse mellifluo: "Piazzatele qua". Ci indirizzò poi seguendoci impettito a quel luogo di delizie che chiamava "libreria", zeppo di vini di annata, liquori e varietà dolciarie Ora le tre belle pale d’altare dei Cappelloni dimorano nel salone del palazzo vescovile, in bella mostra alle pareti dove, di notte, ancora scivola e trasecola l’enorme ombra scura di Mons. Tommasiello di felice memoria. Furtiva e sinuosa. La tela centrale è un’incantata rappresentazione dell’Ultima Cena. Di sobrio equilibrio di forma e colori. A prima vista non sembra granché, ma poi a guardarla bene, l’osservatore vi si immerge in profonda pienezza, totalmente partecipe del mistero, muto, estatico, mistico. Di intensa compostezza il dipinto di autore ignoto si esprime sapientemente in gradevoli effetti di ombre e luci abilmente dosati. Con celestiale finezza contemplativa. L’impianto narrativo si dispiega con placida armonia in trame sottili e delicate. Al centro della scena tra le nuvole, contratte figure degli Apostoli assiepati, a volte appena abbozzati. profili d’ombra, quasi deconcentrati e lontani, un etereo Gesù dall’incarnato di perla, con un velo di barba appena accennato si offre nella traslucida trasparenza dei secoli, vittima cosciente di un’umanità disfatta e incolore. Compie il suo destino tra arabeschi di angeli e ampi spazi architettonici. Il calice dell’offerta, ben definito su di una mensa sontuosa viene a costituire il centro virtuale di una rappresentazione narrativa ciclica e abusata. Tra qualche tempo, breve come singulto di vittima, interminabile come scintilla di eternità, la Madre lo stringerà al suo seno ancora una volta. Per l’ultimo addio. Le parrà di udire flebile il battito ultimo del suo cuore come timido frullo d’ali di un pettirosso. Volo di bimbo. Un ponte doloroso e bello la raccorderà al tenero momento quando lo ha tenuto tra le braccia, ragazzo spaurito. Lo guarderà attraverso il languido velo dello strazio dell’ultima alba, bello e trasparente, incantato come nel sonno del primo mattino. Marmoreo. E si scioglierà finalmente in una nuvola gentile di lacrime primaverili, nella grande attesa della folgorante Luce della Risurrezione.
Buona Pasqua ai Lettori, vicini e lontani.
Giulio De Monaco