Erano più o meno le 12,30 di un recente sabato, quando Cosimo si ritirò in chiesa, sconvolto, col viso rosso scarlatto, i capelli, radi quanto basta, rizzati sul capo, sudato come un mulo e visibilmente esagitato.
“Cosimoooo; ma che ti è successo? Non ti senti bene? Ha i fatto qualche brutto incontro?”
“Un brutto incontro? Certo che l’ho fatto, come lo fanno tutti i sabato i mercanti che vengono a Teano ad allestire il mercato! Roba da bolgia infernale, dove troneggia Belzebù in persona!”
“E come è stato, Cosimì?”
“Devi sapere che da dopo la sosta obbligata per la emergenza coronavirus, riapertasi la fiera settimanale, ogni sabato succedono chiassose risse tra i mercanti ed un signore che, non si sa con quali poteri, (e, peggio, se questi poteri hanno dei limiti, almeno di quelli dettati dalla decenza e dalla buona educazione) pretende di comandare a bacchetta quelli, cambiandoli continuamente di posto, restringendo loro gli spazi ed altre cose; e il tutto “senza spartito”, a orecchio! E quelli, alla fine perdono la pazienza e si trascende da ambo le parti, spesso dinanzi ad una frastornata, ma indifferente, platea di persone che, speriamo bene, comincia a stufarsi di tutto questo. Il trionfo dell’arroganza e della mala educazione.”
“E tu che c’entri, Cosimì?”
“Damià, io stamattina volevo andare al mercato; mi volevo comprare un po’ di baccalà, da fare con due pummarolelle, due olive verdi e un po’ di chiapparielli, e poi mi volevo comprare anche un paio di sandali nuovi che questi che porto c’hanno ormai duecentoventi anni! E l’altro giorno, scendendo dalla nicchia sono rociolato lungo lungo per terra”
“Eh, lungo, lungo! Ma famm’ o piacere: tu si e no sei alto un metro e sessanta!”
“Embè, sono rociolato in tutta la “mia” lunghezza; aggia da’ cunto a te?”
“No, no, pe’ carità. Ma continua a raccontare”
“Ebbene, mentre stavo guardando un paio di sandali che mi parevano comodi, ha sentito delle urla, degli schiamazzi, delle minacce, delle invocazioni all’intervento dei Carabinieri; mi ero imbattuto in una di quelle risse settimanali di cui ti dicevo prima. Mi sono spaventato; volevo intervenire, ma poi ho pensato che nessuno poteva vedermi. Ma quelli che pure si potevano vedere manco sono intervenuti. Allora mi si sono girate le p….”
“Eh, Cosimì: E che so’ ste’ parole?”
“… mi si sono girate le pantofole, Damià, le pantofole, che hai capito? E me ne sono tornato, senza sandali e senza baccalà. E ti pare giusto e produttivo per quello che vendeva le scarpe e il baccalà, e per il buon nome (di una volta) della nostra fiera settimanale, nonché per un povero cristo come me che voleva il baccalà?”
“Si, capisco Cosimo. Ma le cose sono anche più gravi, perché quando quei lavoratori del commercio, che non sono di Teano, si troveranno a parlare con loro colleghi o amici, che diranno: – vai, vai a portare la tua bancarella a Teano, o andiamo a farci una passeggiata a Teano. Lì ci sono persone educatissime che ti accoglieranno con tanta gentilezza e si metteranno a disposizione per farti stare a tuo agio – ? O diranno “che brutto paese, che mala gente”, come andava ripetendo per tutto il corso di Teano quel musicante coinvolto anni fa nel crollo del palco, durante le celebrazioni per San Paride, mentre, nell’intento di essergli d’aiuto, lo portavano di corsa in Ospedale, a braccia, strattonandolo, per poter passare tra la folla, ora a destra ora a sinistra.? Solo che quel poveretto aveva una gamba rotta e ti lascio immaginare il dolore, che si esacerbava ad ogni movimento. Ma per fortuna questo oggi non potrebbe accadere. Ma solo perché l’ospedale non c’è più. Come vedi non tutti i mali vengono per nuocere!”
“Sì, è vero, è vero. Ed anche quelli che assistono a queste sceneggiate che penseranno? Ma dove cacchio siamo capitati? Ed il paese è bello che sputtanato!”
“Esatto. Perché, anche se il paragone è senz’altro esagerato, quando parli di Corleone, pensi subito a Totò Riina e a Badalamenti, quando parli di Casal di Principe, pensi subito a Iovine o a Zagaria, quando parli di Catanzaro pensi subito alla ‘Ndrangheta, o di Bari pensi alla Sacra Corona Unita. Non pensi, d’acchito, alle migliaia di persone oneste, educate, per bene, rispettose degli altri, civili, che per millenni son vissute in quei luoghi e magari li hanno nobilitati con il loro lavoro, anche umile, ma irreprensibile. E non pensi neppure al Duomo, o Al Palazzo Storico, alla Torre o al Castello, o all’anfiteatro che possono rendere visitabili queli paesi, perché, per prima cosa, hai a che fare con gli abitanti, e non ti piacerebbe imbatterti in un Riina o in un suo amico stretto. Così accade per noi, dove migliaia di persone civili ed educate potrebbero ingiustamente essere accreditate come persone da cui è meglio stare alla larga. E, di contrasto, esistono paesi come Arquà Petrarca o Valdicastello Carducci, onorati da un loro figlio al punto da associarne il cognome.”
“Hai ragione, Damià, La cosa sembra una sciocchezza ma è maledettamente seria. E che si potrebbe fare? A chi tocca risolvere queste cose?”
“Ma vedi, prima che di risolverle bisognerebbe evitare di crearle. E la difesa anche del buon nome di un paese tu a chi credi che spetti?”
“Ma io credo al primo cittadino, a colui al quale gli elettori hanno affidato la loro rappresentanza”
“Bravo. E, soprattutto quest’ultima, il primo cittadino non dovrebbe delegarla a nessun altro, soprattutto se a cuor leggero o per raggirare un possibile oppositore. La nostra fortuna, Cosimì, è che non apparteniamo più al mondo degli uomini; noi siamo Santi, e da tanti secoli. Ma ti capisco: anche i Santi possono perdere la pazienza. Ma la bontà del nostro Superiore certamente glieli farà perdonare”
“Grazie Damià. Sei sempre il più saggio”.
Queste parole misero fine alla discussione: Cosimo si era ormai chetato e, vuoi per lo stress della giornata, vuoi per la veneranda età, vuoi per l’assenza della pennichella pomeridiana, se ne salì nella sua nicchia e si addormentò tranquillo.
Ma senza i sandali nuovi e senza il baccalà con due pumarolelle, due olive verdi ed un po’ di chiapparielli!
Claudio Gliottone