Una nuova moda impazza nelle grandi città: mangiare bio. Tanto che a Bologna ormai il SANA accoglie centinaia e centinaia di persone “fissate” col mangiare bene e sano ( e credetemi, mi sono sentita moooolto a disagio, quando ho tirato fuori la mia frittissima crescentina – regalo di mia nipote- con affettati vari e marzellina piccante, un mix insomma).
Guardo, chiedo, curioso, assaggio e leggo BIO dappertutto. Poi, mi domando: “ma che è sto bio?”
<<L’agricoltura biologica si basa su valori etici universali. È un progetto culturale che attraverso il tempo e lo spazio coinvolge tutti gli uomini e le donne che rispettano la terra, con amore, in ogni gesto quotidiano. Esistono principi e regole che sono fondamentali e vitali per ognuno di noi.>> Spiega Baraldi Roberto, che ha un negozio di prodotti bio in provincia di Modena, ma che fa conferenze da anni.
<<Dietro al biologico ci sono facce, persone che hanno scelto di rispettare l’ambiente. Un ritorno alle origini, che rafforza il rapporto tra uomo e natura, senza dimenticare il progresso, vero alleato del mondo bio.>>
Mentre parla, mi viene in mente il mercatino giornaliero sul Muraglione, tenuto principalmente dalle vecchiette che vendono i prodotti del loro orticello, le uova delle loro gallinelle.
Si può definire tutto questo bio?
Beh, non si può confondere il biologico con il naturale, poiché i prodotti cosiddetti “naturali” non sono regolamentati e quindi non devono rispondere a requisiti ben definiti né sono sottoposti a controlli specifici. Ma penso alle saporite verdure di Elenuccia la Stracciatella, sapore che non ho più ritrovato. E non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di controlli per appurarne la genuinità.
Ai suoi tempi, le mele sapevano di mele (e profumavano), le pesche sapevano di pesche (e profumavano), le pere sapevano di pere (e profumavano). Oggi tutto ha lo stesso sapore (e non profuma).
La castagna giapponese ha danneggiato la nostra di Roccamonfina, l’arancia del Marocco è meno costosa e più venduta di quella siciliana, e dalla Cina arrivano taroccati i nostri stessi frutti venduti sottocosto.
Cosa ne sarà di noi quando anche le ultime anziane donnine ci lasceranno per colorare i mercati del Paradiso? Ci ridurremo come le altre città che mangiano verdure coltivate su cumuli di immondizia?
Non oso e non voglio pensare. Mi auguro solo che campino 150 anni, perché a 100 ci sono già vicino.