Il cinema italiano rischia il default economico-finanziario nel 2013, senza interventi urgenti. Allo stesso tempo, circa mille sale cinematografiche cittadine rischiano di non digitalizzarsi entro la fine dell’anno e, quindi, di restare fuori dal mercato e abbassare le saracinesche. Dal 2014, infatti, i film americani non saranno più distribuiti in pellicola. Non che l’anno passato sia andato bene. Nel 2012 le sale hanno perso quasi l’8% degli incassi e quasi il 10% (-9.88%) degli spettatori – la differenza è per il prezzo più alto per i film in 3D – ma i film italiani hanno subito un calo di 14 milioni di presenze (il 36% rispetto al 2011), con una quota sul mercato sala scesa dal 35 al 25%. Nel 2012, paradossalmente, sono stati prodotti più film (166) rispetto ai due anni precedenti, ma 71 di questi hanno un costo inferiore agli 800mila euro, di cui 36 addirittura inferiore a 200mila. Solo 47 film, escluse le coproduzioni con l’estero, costano più di un milione e mezzo di euro e sono quelli che escono, bene o male, sul mercato.
Cinema italiano: sulla digitalizzazione delle sale strada in salita
La riduzione costante del finanziamento pubblico diretto. L’Anica, che ha presentato i dati insieme al Ministero dei Beni Culturali, ha sottolineato come la tendenza sia quella di una riduzione costante del finanziamento pubblico diretto ma, soprattutto, del finanziamento per film – per dare contributi ad un numero maggiore di titoli, che spesso non arriva neanche agli spettatori (ma è una storia vecchia di decenni). «Sui 75 milioni di dotazione del Fondo per lo spettacolo – denuncia Riccardo Tozzi, presidente dell’Amica – solo 26 vanno alla produzione. Il resto va a nobili e importanti cause, dalla Scuola Nazionale di Cinema a Luce-Cinecittà sino al Festival di Venezia. Siamo però a un livello tale che non permette di fare il cinema d’autore importante. Il cinema d’autore che incassa, quello che dal 2000 in poi ha fatto rinascere il cinema italiano».
Il tax credit: nel 2012 vale 56 milioni (contro i 26 del contributo diretto). La risposta dello Stato è che, se decresce il finanziamento diretto, cresce il credito d’imposta, ovvero le imprese private, sia interne che esterne al settore che finanziano la produzione godendo dell’agevolazione fiscale concessa dallo Stato. Nel 2012 il tax credit vale complessivamente, per il cinema, oltre 56 milioni di euro rispetto ai 26 del contributo diretto. Il default di cui si parlava all’inizio dipende dal fatto che il tax credit scade a fine anno. «Il rinnovo è un provvedimento che può prendere anche questo Governo» precisa Tozzi, mentre Angelo Barbagallo, presidente dei produttori, sottolinea che oggi si progettano i film del 2014, ma è impossibile trovare investitori senza sapere se poter contare o meno sulle agevolazioni fiscali. Il direttore generale del Mibac, Nicola Borrelli, aggiunge: «Almeno due produzioni internazionali hanno rinunciato a venire ad investire in Italia a causa dell’incertezza sulla proroga o meno del tax credit».
Il rischio che si attinga al Fus. C’è un altro fattore che rischia di aggravare ulteriormente la situazione: «Speriamo – continua Tozzi – che il debito dello Stato nei confronti di produttori e distributori, per contributi non versati negli anni precedenti, non venga "scalato" dal Fus, ma inserito nel Decreto sul rimborso dei crediti vantati dai privati verso la Pubblicazione amministrazione».
Unico dato positivo, per il cinema italiano, che ha perso spettatori anche nel primo trimestre del 2013, è l’approvazione del decreto sulle quote di distribuzione e d’investimento obbligatorie per le televisione, che però «comincerà a dare i suoi effetti dal 2014», commenta Barbagallo. La realtà è quella di una Medusa-Mediaset che riduce del 25% il suo impegno nel settore cinema rispetto a 3-4 anni fa. RaiCinema ne eredita diversi progetti, «ma nel segno del cinema commerciale – aggiunge Tozzi – togliendo spazio e risorse a quello di autore. E per di più con un investimento per film molto ridotto». A questo si può aggiungere che su Rai1, nel 2012, sono andati in onda, in prima serata, solo cinque film italiani e su Rai2 solo due. «Ormai la Rai è una tv di talk show fatta da giornalisti. Questo è lontanissimo da quanto fanno per il cinema gli altri servizi pubblici europei» attaccano i produttori. Si chiude con la pirateria: si chiede un provvedimento urgente e c’è chi, come Aurelio De Laurentis ipotizza provocatoriamente una class action dei titolari dei diritti contro lo Stato per i mancati introiti causati dalla pirateria, favorita nel nostro paese da regolamenti e norme ritenute del tutto inefficaci.
di Marco Mele