Mi perdonerete se mischierò per un attimo il mio privato con ciò che è pubblico, ma spero di riscuotere l’anima di qualcuno, che magari continua a vivere con gli occhi ed il cuore bendati.
Erano gli anni ’60, quando i miei genitori decisero di venire a vivere a Teano. Mio padre 35 anni, mamma 25. Scelsero di lasciare la provincia di Napoli, per avvicinarsi al lavoro di “don Felice”. Aveva un frutteto in quel di Maiorisi. In seguito aprirono un piccolo negozietto di vino. Nel tempo adeguatosi, fino a divenire una sorta di mini market. Erano gli anni ’90, quando forse, guardando molto lontano, decisero di rientrare a Pomigliano. Si sa, le persone ad una certa età cominciano a “scegliere” dove trascorrere gli ultimi anni della propria vita e spesso ritornano da dove sono partiti. E così è stato per babbo, chiamato così per via delle mie origini toscane. Ci ha lasciati nel 2003, trascorrendo la vecchiaia nella sua città natale, e tra i cui cari.
Ora, inesorabilmente, sto assistendo impotente, al lento spegnersi di un’altra fiammella di una candela che mi ha dato luce e continua a darmene. La sig.ra Manetti, o per tutti Anna Lucia. Mammà! Gli anni passano per tutti, e giorno dopo giorno quella fiammella diventa sempre più fioca. La lucidità di un tempo, comincia a dare spazio a momenti bui. I malanni aumentano. E’ la legge della natura.
Un tempo, “nu piezz ‘e ‘femmn”, un vero e proprio “generale dei carabinieri” che comandava a bacchetta il marito. Lui, un pezzo di pane. E non lo dico perché era mio padre. Alta oltre il metro e settanta, era una vera e propria forza della natura. Come tutte le mamme che devono tirare avanti una famiglia con figli, marito e magari i nonni. Vederla oggi ormai “arrugnat”, chiudersi quasi a portafoglio, mentre su due stampelle si muove per casa, è pura tristezza. Ancora arzilla, è una vecchina di 85 anni suonati. Come tanti anziani della sua età, è diventata peggio di un bambino, e necessita assistenza ogni momento.
Perché dobbiamo ridurci così?
Me lo sono sempre chiesto, e nei momenti in cui scambio quattro chiacchiere con il mio Signore, gli chiedo sempre, un domani, di farmi addormentare nel sonno. Non vorrò essere di peso a nessuno. Sia ben chiaro, i genitori, i nonni, non sono mai un peso. A tutte le età.
E qui che volevo arrivare.
Ho modo di frequentare la Confidenza Castallo, dove i nostri nonni vengono amorevolmente accuditi. Nonostante tutto l’amore, la pazienza e la professionalità degli operatori, in qualcuno di loro si legge una profonda tristezza negli occhi, dovuta al totale abbandono da parte di figli e familiari loro più cari.
Come si può abbandonare un nonno, un genitore al proprio destino? Possibile che si diventi così insensibili ed aridi al punto da non fregarsene più di loro? Ed ogni volta che vedo mamma, accudita come una bambina tra le mura di casa sua, non me ne faccio una ragione. Quanti anziani non hanno la sua stessa fortuna?
E’ chiaro, quando le condizioni di salute diventano proibitive, allora non è più possibile prendersi cura dei propri cari tra le mura domestiche, a meno di non trasformarle in vere e proprie cliniche. E talvolta, succede anche questo.
Quando ho provato a chiederle se si fosse sentita più al sicuro, in una casa di riposo, con altri anziani, ha sollevato lentamente il capo e con gli occhi lucidi mi ha detto: “Voglio morire tra le mie cose. Nel mio letto. Tra i miei libri. Non farmi questo. Morirei il giorno dopo”. Come si fa ? Con quale cuore ?
A te che stai leggendo. Si, dico proprio a te. Non voltarti indietro. Sto parlando a te. Se hai ancora la fortuna di avere un genitore in vita, un nonno, una nonna, accudiscilo come hanno sempre fatto loro quando eri bambino. Quando non volevi mangiare, ed allora quel cucchiaio e quella forchetta diventavano un aereo che volteggiava intorno al tuo viso, fino a finire nella tua bocca. E mentre tu la tenevi ben chiusa, loro ripetevano quella manovra altre cento, mille volte. Fino allo sfinimento.
Sono loro, i tuoi cari, le stesse persone che da piccino ti tenevano sulle ginocchia e ti raccontavano le favole. E te le raccontavano la sera prima di farti addormentare. Sempre con lo stesso tono di voce. Diminuendolo d’ intensità, solo quando i tuoi occhi cominciavano a chiudersi. Poi, immancabilmente, ti rimboccavano le coperte e ti davano il classico bacio della buonanotte sulla fronte.
Da bimbetto, facevo finta di addormentarmi, ed aspettavo come chissà quale regalo quel bacio, accompagnato sempre da una carezza. Ricordo ancora le mani ruvide di mio padre, segnate dal duro lavoro e quelle di mamma sempre profumate.
Come puoi abbandonarli? Loro non l’hanno mai fatto. E mai lo farebbero.
Solo quando non ci saranno più, vi accorgerete di quel vuoto. E sarà impossibile tornare indietro. Ammesso che abbiate una coscienza, il rimorso vi mangerà dentro e non potrete far più nulla, se non soffrire.
Il Papa buono, durante il discorso della luna, a braccio, invitò i presenti a dare una carezza ai bambini al rientro a casa, dicendo loro che quella era la carezza del Papa. Mi auguro possiate fare la medesima cosa con i vostri genitori. Con i vostri nonni. E non importa di chi sarà quella carezza.
L’importante è che venga dal vostro cuore.
FeudoDiViaAnfiteatro, Settembre MMXX
Luciano Passariello