…dilaga sempre più: ce ne rendiamo conto giorno per giorno.
Con i miei cinquant’anni compiuti di professione medica credo di avere qualche titolo per valutare i tanti cambiamenti che l’hanno caratterizzata nel tempo, non da un punto di vista scientifico e specialistico, sempre efficientissimi, ma da un punto di vista semplicemente organizzativo.
Ho vissuto diversi suoi aspetti di lavoro, da “medico condotto”, da medico di base, da ufficiale medico e da medico ospedaliero. Ho vissuto la istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che nel 1978 sostituì le varie “Casse di mutua assistenza” e che nel tempo, nonostante qualche mio iniziale dubbio, si rivelò come uno dei migliori sistemi assistenziali al mondo.
Il mio dubbio fondamentale nasceva da una possibile “politicizzazione” e successiva “burocratizzazione” che sarebbero potute nascere in un settore che di tutto avrebbe potuto aver bisogno meno che di loro.
Il dubbio si rivelò veritiero: ai “baroni” universitari, che almeno erano cime dell’arte sanitaria, cominciarono a sostituirsi i “politici” che proprio non saprei in quale arte potessero essere cime: lascio a voi la ricerca. Ne presero il posto guidando le varie nomine dirigenziali nelle ASL come nelle strutture ospedaliere.
La burocratizzazione seguì a ruota ed iniziò con la organizzazione telematica di tutto il sistema, la schedatura dei pazienti, delle loro patologie, del loro uso di medicinali e di prestazioni diagnostiche, che divennero oggetto di successive limitazioni, indicazioni, suggerimenti e, alla fine, imposizioni da parte di burocrati, magari anche medici, che da una scrivania del Ministero, curavano un paziente come una “categoria”, senza averne mai visto in faccia uno solo!
Così oggi siamo a questo: i medici, soprattutto quelli di base, hanno dovuto delegare la cura alle “linee guida”, alla prescrivibilità farmaceutica, ai “pacchetti” di terapia e via discorrendo. Ed allora hanno rinunciato ad effettuare anche il fondamentale atto diagnostico: la visita medico-generica.
Forse anche per questo il numero dei medici è notevolmente diminuito; oltre che per una insulsa politica “democratica e riformatrice” di accesso universitario alla facoltà di Medicina: ai miei tempi vi si poteva accedere solo con il diploma di Liceo Classico ed esisteva uno sbarramento al secondo anno che annullava la iscrizione se non si era in regola con i prescritti esami. Quindi non la imprevedibilità di un “quiz” all’americana, ma il fondamento di una preparazione di base che era, oltre che abitudine allo studio serio, una garanzia del possesso di un entroterra “umanistico” fondamento della sanità, che non è, come si potrebbe credere, solamente “scienza medica”.
Tutto questo ha portato, e termino qui anche se potrei scrivere per altre dieci pagine, ad assurdità come questa appresso descritta.
La prenotazione per una visita di semplice “rinnovo di piano terapeutico” presso il Presidio Ospedaliero di Caserta, effettuata il 20 febbraio di quest’anno viene fissata per il 23 maggio, ad appena appena 103 giorni di distanza.
Facciamo qualche calcolo: 103 giorni sono all’incirca 14 settimane e, calcolando 5 giorni lavorativi a settimana e qualche altra festa infrasettimanale, aggiustiamoci su una media di 70 giorni. Un medico ospedaliero a tempo pieno lavora per 6 ore e 40 minuti ed una visita di quel genere dura in media abbondante 20 minuti: quindi ogni medico può effettuare 3 visite all’ora e 18 durante la sua attività lavorativa giornaliera. 18 visite al giorno per 70 giorni fanno 1260 visite che moltiplicate per almeno tre medici che dovrebbero prestare questo servizio in Ospedale fanno un totale di 3780 viste nel periodo considerato.
Vi pare possibile che in 70 giorni possano esserci 3780 prenotazioni su una utenza che, esagerando al massimo, può esser di cinquecentomila abitanti, per un rapporto finale del 18,9 per cento di essi che ha bisogno di una visita per il rinnovo di un piano terapeutico dermatologico? Pensateci un poco. A me pare che qualcosa non quadri.
Claudio Gliottone