Sulla “ridondante vacuità” (mi si perdoni l’ossimoro) del Festival di Sanremo e dei testi musicali presentati negli ultimi anni abbiamo già avuto occasione di esprimere un parere sia pur personale.
Ora, a bocce ormai ferme dalla ultima edizione, non intendiamo riprendere specificamente l’argomento, ma ci piace solo ricordare, oltre allo stupendo costrutto musicale, la grande lucidità del testo di una delle più belle canzoni dello chansonnier, armeno naturalizzato francese, Charles Aznavour: “L’istrione”.
Non credo sia il caso di ricordare, specie ai lettori più attempati, quale artista a tutto tondo sia stato Aznavour, compositore di tutte le sue immortali canzoni, da “Que c’est triste Venise” a “She”, da “La Bohème” a “Ed io tra di voi”, solo per citarne alcune, e tutte cantate con grande potenza ed estensione vocale fino agli ultimi giorni (morì ad 85 anni nel 2018) della sua vita.
Non di meno a quello delle altre, il testo de “L’Istrione” è un vero e proprio insegnamento di vita e di comportamento, ben al di là di quanto il suo titolo possa far comprendere.
A parlare è l’istrione, qui inteso nel termine originale dell’attore teatrale dell’antica Roma, e lungi dal significato dispregiativo, attribuitogli in seguito, di guitto che indulge ad una recitazione enfatica volta a suscitare plateali emozioni.
Il testo si dipana sulla esternazione del suo amore per l’arte ed il teatro e descrive minutamente ed attentamente stati d’animo e sensazioni di chi sa di essere oggetto continuo di critica, proprio per la sua esposizione professionale.
Un amore consapevole ed a volte presuntuoso, ma supportato dalla consapevolezza della propria dedizione e capacità, tanto da fagli dimostrare ed affermare il proprio genio “in una stanza di tre muri” dove sa tenere il “pubblico con sé sull’orlo di un abisso oscuro”.
La validità della canzone è stata ampiamente dimostrata dalla ripresa che ne hanno fatto recentemente altri artisti del calibro di Renato Zero, di Massimo Ranieri o di Fiorello; non scommetterei sulla sopravvivenza di altre recenti e fatue canzonette che in maniera ossessivamente ripetitive inneggiano a saluti fatti con tutte le parti del corpo, incluso il deretano, o a brindisi o ad una Andromeda che proprio all’inizio, d’ emblée, riconosce di esser una st…nza!
Il passaggio più bello e suggestivo dell’Istrione è quando afferma che “la vita torna in me ad ogni -chi è di scena?- che io sentirò; e ancora morirò di gioia e di paura quando il sipario sale: paura che potrò non ricordare più la parte che so già.
Poi, quando tocca a me, puntuale sono là nel sogno sempre uguale”!
Come descrivere meglio o più sinteticamente emozioni ed ansie che di certo hanno preso ognuno di noi nell’affrontare situazioni nuove od altre di nuovo ripresentantesi?
La gioia per il “sipario che sale” e la “paura di poter non ricordare più” la parte che già sappiamo.
Ma l’importante è che “quando tocca” a noi sapremo “puntuali essere là”, nel “sogno sempre uguale”!!!
E non potremmo non esserci!
Claudio Gliottone