Il primo giorno di scuola è affollato di ricordi, di suoni, di colori, di profumi, di volti. Ci si rivede, alunni e docenti, come naufraghi scampati alle tempeste dell’estate, quelle ormonali e delle storie da ombrellone, quelle del cuore e quelle più pericolose di una indolenza che ha preso la mente ed il corpo, quelle delle serate troppo lunghe o della peste della noia. Genitori e figli, docenti e dirigenti, ministri e funzionari del Provveditorato, dopo aver bighellonato per vacanze ancora troppo lunghe per gli standard europei, sanno finalmente dove andare, dove dirigersi la mattina, come organizzare il tempo, come scandire le ore e gustare lo scorrere della settimana verso l’agognato sabato del villaggio globale. “I bambini hanno ancora gli occhi incollati di sonno e gli adolescenti sentono ancora il retrogusto amaro dell’ultima sera “dell’estate che è stata”, la città si ripopola di buon mattino dopo essere stata sonnacchiosa nelle brume del caldo, file di auto per le strade, vigili urbani allertati con il fischietto a portata di mano, esercito di motorini che gasano, ma vorrebbero innescare la marcia indietro che non c’è. Dove va questo esercito di ragazzi e insegnanti? Cosa hanno in mente i genitori in parte acquietati (finalmente torniamo ad un ritmo ordinato!) in parte in ansia (speriamo che mio figlio si dia una regolata)? Cosa chiede lo Stato all’istituzione SCUOLA? È più importante preoccuparsi del PIL o della qualità della Scuola? Un popolo si qualifica a partire dagli sforzi, dalle energie spese per l’istruzione delle giovani generazioni, per la preparazione dei docenti, per la qualità e vivacità del dialogo educativo, per la bellezza dei plessi scolastici e dei palazzi universitari, per la passione educativa che trasuda da testi e sguardi, da video e immagini, dal tono della voce, dalla sacerdotalità che promana dai gesti di chi si accinge ad aprire un nuovo anno scolastico. Nei corridoi e nelle aule, nei cortili e nelle palestre, nelle direzioni e nelle segreterie passa il popolo di bambini, ragazzi, adolescenti, giovani che, più o meno consapevolmente, con il sorriso o con uno sbadiglio, desiderosi di ricominciare o ancora irretiti nel caos dell’estate, sono gli utenti della Scuola o i prìncipi ignari della loro nobiltà e ancora “personaggi in cerca d’autore”. A tutti il Vescovo rivolge un pensiero e un augurio, un “in bocca al lupo” e una benedizione, un sorriso ed un sogno. Il sogno riguarda la Scuola accogliente per tutti, aperta all’avventura del sapere, senza barriere architettoniche e pregiudizi di sorta, testarda nell’aspettare anche l’ultimo, timorosa di perdere qualcuno. La Scuola che perde anche un solo alunno si perde e si disperde. Il sogno riguarda una classe docente attenta a tutti e a ciascuno, rispettosa dei tempi e delle stagioni, appassionata all’uomo in ogni suo aspetto, attenta a leggere negli alunni variegate fratture familiari (nel ragazzo che va a scuola è convocata tutta la famiglia), pronta a tradurre in un linguaggio nuovo, quello di quest’anno, quanto studiato all’Università e previsto dai programmi ministeriali, cosciente che nell’insegnamento si porta un mondo vecchio e se ne prepara uno nuovo. Il sogno che il Vescovo condivide è di una scuola che insegni ad imparare, che sappia di storia e geografia, di volti e di luoghi, di incontri che potevano essere solo scontri ed hanno cambiato la vita, di “cose che nessuno sa” ed un alunno può scoprire all’improvviso facendo montare il pianto, che abbia amore e sapore, colore, passione, che apra verità che non uccidono, ma fanno bene al cuore. Il sogno, che come coriandoli vorrei scendesse su tutti quelli che varcano la soglia della scuola (come d’un tempio?), riguarda la coscienza della solennità del momento e così ogni giorno, perché ci scorre tra le dita il futuro e gli insegnanti hanno le mani sulle sorti di questa nostra umanità. Il sogno del Vescovo si auspica che nel laboratorio della Scuola si faccia sintesi tra memoria del passato (storia), memoria del presente (attenzione), e memoria del futuro (speranza). Tutto questo accadrà se gli utenti saranno amati, se da oppositori saranno percepiti come figli, se, da parte del corpo docente, si riuscirà ad oltrepassare la scorza di menefreghismo, di poco rispetto, di malavoglia. Non dagli alunni dipende l’esito dell’avventura-Scuola, ma dagli insegnanti chiamati a guardare negli occhi gli alunni per scorgere mondi sommersi, tesori nascosti, talenti da purificare come diamanti appena estratti dalla miniera che aspettano la pazienza-perizia del cesellatore. Ecco, il conto alla rovescia è alle ultime battute, un popolo preme per entrare nella Scuola e nella storia. Sarà una bella avventura quest’anno scolastico se avremo occhi sognanti, se faremo credito ai giovani fino a barare, se sapremo vederli con occhi sognanti. Un uomo cresce solo se sognato.”
+ Arturo Aiello Vescovo di Avellino