Ciò che sappiamo di ciò che ignoriamo è enormemente di più di ciò che sappiamo di ciò che sappiamo, resterà sempre una goccia di un oceano, ma esiste qualcuno così sazio di felicità da non volerne più? Più cose leggiamo, più concetti acquisiamo, più arricchiamo il nostro linguaggio, più percepiamo che il mondo non finisce dove avevamo visto il suo orizzonte. Si aggiungono pezzi, colori, suoni, sensazioni, che geolocalizzano il nostro Io in un baricentro che si sposta con la nostra conoscenza . L’io vede così se stesso, è un vedersi nelle cose vedute che gratifica più di qualsiasi possibile riconoscimento esterno a noi. Il vero senso delle cose non è mai solo nel presente ma nell’emancipazione verso cui ci si muove. Sembra essere questa una posizione scontata, ma Hegel ci ha insegnato che il noto non è conosciuto ed è compito della filosofia fornirci le coordinate per decodificare ciò che crediamo di conoscere ma di cui spesso abbiamo soltanto una visione miope e stereotipata, che va decostruita se non vogliamo correre il rischio di aprire falsi mondi,perché le parole sono nidi di vipere, sono la cura e il veleno, proprio come i farmaci ,sono performanti, bisogna saperle usare. A cosa serve la cultura oggi? Tanti dicono a niente, altri pensano che serva a ciò per cui è sempre servita. Ma questo non ci aiuta a capire. Già nel 1935 Husserl , il grande fenomenologo tedesco-maestro di Heiddeger-denuncia la crisi di senso del suo tempo, in cui vede la crisi della stessa ragione umana. Si andava affermando una difficoltà di usare la ragione come facoltà critica e interrogativa, causando mancanza di ossigeno alla filosofia quanto alla cultura tout court. La cultura è occuparsi di futuro, senza cultura non c’è futuro. Noi nasciamo gettati in un mondo dove già c’è tutto oltre noi e questo ci spinge ad accontentarci di una visione logico formale che non è sufficiente a capire quel pezzo di mondo che non vediamo . L’esigenza di vedere l’oltre è sentimentale perché non c’è una reale differenza tra ragione e sentimento. E’ per questo che poi la cultura di fatto è molto più diffusa di quanto si pensi : tutti conosciamo Giulietta e Romeo anche senza aver mai letto Shakespeare. E’ più solida della morale perché non ci sono dogmi, non c’è aura di sacralità. Oggi siamo di fronte a uno scetticismo generalizzato, quando va bene tendiamo al razionalismo massimizzato. Oggi il dubbio non è più metodo, come per Cartesio, oggi il dubbio è sistematico, non metodologico, io non dubito più per poi rendermi conto di cosa non dubitare. Per Cartesio io non posso dubitare del fatto che sto dubitando, quindi lì il dubbio è il motore, la struttura dove appoggiare il sapere. Oggi il dubbio è circolare, si dubita per dubitare; tutti noi scivoliamo nel complottismo, non ci si può fidare di nessuno. Tutto si equivale e niente ha senso. L’irrazionalismo nasce dalla difficoltà di ragionare, c’è la mania del copia incolla, che va anche bene, ma solo dopo aver acquisito un proprio metodo strutturale che faccia da perno a tutto il logico argomentativo che riusciamo a fare nostro solo se abbiamo costruito una colonna vertebrale solida che ci aiuta a rialzarci in caso di caduta. Se mi limito a copiare resto fermo alle conquiste degli altri, che è si un risultato ma non ci fa spostare, non ci fa progredire per davvero. Quando smettiamo di ragionare e affrontiamo le difficoltà di pancia, domina la paura. Rinunciando alla cultura rinunciamo alla nostra autonomia, rinunciamo a progettare la nostra vita liberandola dalla paura del vivere , per quello che è possibile. La cultura serve a salvaguardare lo spirito critico, piuttosto che cedere al conformismo, al pensiero unico, ci aiuta a evitare la banalità del male dice la Arendt , serve a fornirci le parole necessarie per nominare le cose, diminuendo il disordine, il caos e quindi la sofferenza. Questa società ha svenduto la cultura perché mal si presta al do ut des imperante, il dominio assoluto è della sfiducia se non della paura per qualsiasi cosa. E’ difficile fidarsi di qualcuno, ci sentiamo traditi dai politici, dall’economia, dalle stesse leggi, sembra che nulla sia riuscito ad essere all’altezza delle nostre aspettative. La verità della parola stessa è venuta meno e quindi l’affidabilità delle persone e della loro integrità morale ma anche semplicemente umana. Noi però abbiamo proprio bisogno di dare fiducia in assenza di affidabilità, altrimenti si va verso il grande negativo, quello che paralizza , quello dell’urlo di Munch , rappresentazione plastica del panico di cui l’essere umano può essere vittima quando non c’è più nessuno ad ascoltare il suo dolore, che non è il dolore di qualche soggetto problematico con particolari sofferenze psichiche , ma è il potenziale dolore di ognuno di noi , è il dolore della condizione umana. Se rinunciamo alla sovrastruttura culturale diventa difficile reagire alla paura , perché dietro di essa ci sono tutte le nostre difficoltà arcaiche : dalla paura del buio ,avvertita in culla, a quella dell’abbandono, per la perdita dell’oggetto amato ( a cominciare dal seno materno) fino a quella di non sentirci adeguati , di essere altro rispetto alle aspettative altrui, ma anche rispetto a ciò che noi stessi vorremmo essere. E’ questo che rende difficile amare lo straniero , chi non ci assomiglia, ed è in questi meccanismi ancestrali che la cultura svolge il compito primario di distinguere, identificare, cogliere il pericolo reale , staccandolo dalle paure arcaiche che ci portiamo dietro. Lo straniero è un mio background con cui non voglio far pace, è difficile amare la nostra parte peggiore, tendiamo a rimuoverla, ma è un processo necessario se vogliamo emancipare la nostra vita dallo stato pulsionale che appartiene anche al mondo animale . Non abbiamo dovuto fare tutto da soli , Freud ha dedicato tutta la sua vita al tentativo di colonizzare l’es , l’inconscio, per dare maggiore agio all’io egoico ,per quanto possibile , anche se una delle più profonde ferite narcisistiche inflitte all’uomo del ‘900 arriva proprio da Freud con la sua famosa locuzione : l’io non è padrone in casa sua. Col copia incolla non risolviamo perché non ci fornisce gli strumenti per riconoscere e riconoscerci, anche come altro. Per poter ripartire con la dinamica del fidarsi, è necessaria la cultura, ci serve per poter creare le basi per poterci fidare dell’altro. Anche se nessuno di noi può essere sempre totalmente affidabile, il limite è proprio strutturale all’ente uomo. Senza fiducia distruggiamo il vivere insieme, è indispensabile dunque questa scommessa, questo salto nel buoi , questa relazione che resta ontologicamente asimmetrica. Fidarsi è un atto di fede, mi rende vulnerabile verso chi riceve la mia fiducia, non posso farlo senza una struttura forte cui aggrapparmi , senza un gancio di sicurezza che mi tiene nella eventuale caduta . E’ necessario che io mi riconosca, che io sappia chi sia. Senza l’impalcatura culturale non potrei poi sopportare il tradimento . E’ così che so che il mio valore non dipende dallo sguardo altrui, né dal tradimento ricevuto. Il coraggio per affrontare la vita non può venire dall’insipienza, lo suggerisce Dio stesso mettendoci davanti all’albero della conoscenza. L’ingenuità è un valore ma l’insipienza no. Hannah Aredt con la sua filosofia ci ha lasciato una dimostrazione quasi matematica , per la sua potenza logica, di come non usando più la ragione, lo spirito critico, la realtà diventa quella che vogliono farci credere. Non chiediamo più alla verità di essere incontrovertibile, ci accontentiamo degli slogan, della propaganda, fino a poter realizzare per mano di una banalità collettiva, un male assoluto , radicale, come quello nazista. Le sfumature contano ,altrimenti la realtà non la vediamo più e perdiamo anche le parole per poterle nominare. La realtà è fatta di colori, non di bianco e nero, oggi non voler nominare le famiglie arcobaleno è come voler cancellare pezzi di reale . Il mondo è come è, non come vorremmo che fosse. Le famiglie arcobaleno esistono di fatto e vanno nominate in modo corretto. Quando usiamo l’insulto, il linguaggio non serve più per dire ma per fare, perché l’insulto è uno schiaffo non una parola, è violenza non un modo di dire. La filosofia va incarnata negli eventi che ci spiazzano, per aiutarci ad interpretarli. Serve a mettere parole nuove là dove non ce ne sono, come dispositivi contro il dolore. L’innominabile va nominato altrimenti resta inaccessibile, resta senza possibilità di essere superato . Chi non riesce a dare un nome al proprio dolore non lo può attraversare , non può spostarsi da lì; la parola per chi perde un genitore è orfano, chi perde il compagno di vita è vedovo o vedova, ma non esiste alcuna parola per il genitore che perde il figlio in nessuna lingua del mondo , c’è solo un’approssimazione in arabo , nel termine Tacta , traducibile con – contro l’ordine delle cose-. Come nominarlo l’impossibile, come poter ripartire da qualcosa che devasta al punto di essere inaccessibile allo stesso linguaggio . I classici ci insegnano che le parole servono a mettere ordine nel mondo, il dolore va nominato altrimenti ci schiaccia, va data una forma a ciò che si prova. Come fare ad attraversare l’abisso? Molte mamme di figli suicidi, scrivono libri nel tentativo di trovare le parole per poterlo dire, è come intravedere una possibilità di salvezza perlomeno dalla follia. Una mamma scriverà alla sua Giada, morta a soli 18 anni, dopo tanto tempo di assoluto autismo ,trovando la forza di aprire quella porta della sua camera che faceva da muro al loro potersi ritrovare : “ ora è tutto diverso, entro nei ricordi e ti aspetto, entro e dopo un po’ tu arrivi, entro e arriva il tuo odore, entro e sento i battiti del tuo cuore “. Il linguaggio è il confine tra la forza e la fragilità per attraversare l’abisso, quel vuoto tanto doloroso diventa frequentabile se ci afferriamo a parole che salvano. E’ così che si può riaccendere la vita, solo l’amore può farci trovare le parole giuste ,perché solo l’amore è senza confini , è per questo che è perfetto. E’ per questo che con le sue parole può portarci dove vogliamo andare. Prima di ogni cosa siamo relazione, ci serve l’amore per vivere, non va dimenticato neanche per la nostra dimensione culturale che se resta verticale è solo conoscenza, erudizione ; la vera cultura ci restituisce la versione migliore di noi ,perché l’altro mi diventa necessario per poter dire “io” e perché saprò fare molto di più che tollerarlo, saprò amarlo.
ANNA FERRARO
Con il fascino potrete cavarvela per un quarto d’ora, poi sarà meglio che sappiate qualcosa. CIT. H. J. Brown.