Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire : noi siamo quello che facciamo. Non possiamo non incarnare la filosofia negli eventi che segnano il nostro tempo. Il presente va interrogato , va svolta una ontologia dell’attualità, che metta in discussione la nostra indifferenza . Odio gli indifferenti è la nota locuzione con cui Gramsci esordisce nei suoi Quaderni dal carcere, per invitarci a prendere posizione contro uno stato di cose che non accontenta nessuno , per indurci a pensare alla necessità di essere partigiani, di scegliere con audacia posizioni scomode che rappresentino le nostre istanze, visto che non c’è più alcuna forza politica che lo faccia . La responsabilità inibisce, fare scelte coraggiose è faticoso, ma il mondo non è qualcosa che procede automaticamente senza di noi, essere indifferenti è già prendere posizione, è già accettare il mondo con disincanto, è già deresponsabilizzazione. L’indifferenza fatalizza l’esistenza, concretizzando la possibilità che il mondo sia autonomo rispetto all’uomo. Siamo noi a porre in essere la possibilità che il destino sia qualcosa di oggettivo rispetto al nostro fare. La fatalità è in realtà il prodotto dell’indifferenza ; la storia non è un fenomeno naturale come può essere un terremoto o un’eruzione, ma è ciò che viene fatto dalla prassi umana. Le crisi economiche, le impennate dello spread, dobbiamo subirle come se fossero eventi fisiologici a cui non possiamo opporre rimedio ? Naturalizzando qualcosa che è un prodotto sociale, un effetto della prassi dell’uomo? L’indifferenza è un grande motore della storia, non è vero che non agisce nel reale, è deresponsabilizzante, fa in modo che gli individui non facciano la loro parte per cambiare lo stato di cose, se non cimentarsi in piagnistei da eterne vittime innocenti. E’ il motore del “ si dice “ heideggeriano, che ci allontana dalla nostra autenticità fino ad assumere i profili di una vera e propria arma di distruzione di massa- che sopravvive solo come moltitudine acefala-. L’indifferenza ha una sua profonda tonalità emotiva, è anch’essa un’ideologia costitutiva dello stato di cose così com’è. Ci si convince dell’intrasformabilità dell’ordine delle cose . C’è desertificazione dell’agire umano. La fatalità è l’altra faccia dell’indifferenza, ne è l’ipostasi metafisica, ne è il risultato effettuale, per quanto non voluto. Nel tempo del neoliberismo come pensiero unico dominante, si è prodotta un’epoca assoluta dell’indifferenza e delle passioni tristi. L’indifferenza non è affatto indifferente, è già una valenza politica precisa di chi accetta lo status quo senza essere partigiano, senza prendere posizione , lasciando il mondo nella sua datità. Gramsci ha pagato con la sua vita la sua dissidenza , il suo non essere allineato, quando la paura ha bussato alla sua porta il coraggio non ha esitato ad aprire , anche se la storia insegna che neanche le figure cristologiche hanno mai messo tutti d ‘accordo . Mussolini dirà :” è ora che quel cervello smetta di funzionare “e tutti lo abbandonano. L’unica cosa che potrà fare sarà scrivere i suoi Quaderni dal carcere, un lascito preziosissimo , oggi più attuale che mai, non a caso risulta ridicolo pronunciare la parola “ partigiano “, lo spirito del tempo ne ha fatto un anacronismo per nostalgici dell’ultima ora. Il 10 maggio del 1928 scriverà dal carcere una lettera a sua madre in cui le dirà :” La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. Sarei disposto a dare la mia vita per questo e non solo a stare in prigione “. Per Gramsci stare al mondo voleva dire essere partigiani, per questo il nostro tempo lo ha oscurato . Il suo pensiero lascia vedere come agire coralmente renda concreta la possibilità di trasformare la realtà data ma anche un modo per non rinunciare ad esistere, ad essere sè stessi . La mistica della fatalità va abbandonata. Il fatalismo naturistico genera indifferenza, è la prassi umana a poter riconfigurare le asimmetrie dell’esistenza. La volontà tenace dell’uomo è molto più potente del fatalismo figlio dell’indifferenza. Tutti i Quaderni gramsciani si reggono su una ontologia storica della prassi ; non c’è fattualità altra dell’agire umano , non c’è fatalismo, non c’è mondo dato; è sempre una cristallizzazione del nostro agire il mondo oggettivo, esterno a noi, è solo il risultato del nostro fare, nulla esula dalla prassi, nulla sta al di là di essa. Se tutto è politica non è possibile non prendere posizione. Politica e filosofia sono un circuito virtuoso per Gramsci, la filosofia non può non essere anche politica , altrimenti è cattiva filosofia, è ideologia, è pensiero derubricato a apologetica del mondo dato. Gramsci metabolizza la filosofia della prassi da Marx , un Marx visto con gli occhi di Gentile prima di tutti gli altri. Era stato Gentile a portare in Italia questa visione di Marx , nonostante la sua opposta posizione politica, a conferma che il pensiero resta la cifra più alta dell’uomo che cerca l’autenticità più di ogni cosa. Gramsci politicamente è massimamente distante da Gentile, ma resterà suo allievo per tutta la vita , tutto è in atto, non esiste nulla fuori dall’atto che pensandolo lo pone. C’è soggettivazione del mondo oggettivo, come esito del fare umano ( attualismo gentiliano). Il genere umano è da pensare come soggetto unico, ( l’IO di Fichte)è così che si defatalizza il reale. Il mondo è fatalità solo se lo lasci andare come va. La fascinazione per l’economia che regge il mondo, non è la soluzione, è il problema o quantomeno una parte del problema. Che ne è oggi di Gramsci? Il fatalismo è al potere, siamo abitatori della prima forma storica di potere che non fa vanto della sua imperfezione , c’è un tasso di sfruttamento, di ingiustizia sociale, di miseria, che non può essere negato, ma certo il vanto per la propria inemendabilità resta tutto. E’ un mondo distopico ma non trasformabile : non avrai altra società all’infuori di questa, oscena ma non redimibile, ingiusta ma non migliorabile. La storicità come teatro di cambiamento, come luogo delle possibilità è messa a morte. Fine di ogni dissidenza, di ogni forma di lotta sociale, fine della partigianeria, fine del pensiero pensante. Promossa a pieni voti è invece la resilienza che sa più di sopportazione che di audacia. Ha diritto d’asilo perché non nuoce al sistema . Accettare un presente saturato dalla forma merce, che ci riduce ad atomi seriali, ci rende impotenti a poter sostenere qualsiasi cambiamento. Gramsci è più attuale che mai, è la defatalizzazione dell’esistenza, è il pensare al mondo come storia creata dalla prassi umana. I veri intellettuali dovrebbero fare questo, dovrebbero fornirci l’ humus per sconfessare l’inemendabilità del neoliberismo e non essere la parte dominata dalla classe dominante, per poter vendere il proprio capitale culturale, che non potrà certo confliggere col potere che lo sussume. Gli intellettuali dissidenti vengono ancora silenziati, certo non pagano più con la vita , ma l’ostracizzazione che subiscono non è poi molto diversa da quella imposta da regimi molto poco democratici. Gramsci ha vissuto la sofferenza per la sua coerenza in carne ed ossa , se ami la verità il pensiero e il reale sono la stessa cosa. Se ami la verità sei quello che dici di essere, senza possibilità di essere smentito. Ci lascia un patrimonio immenso di onestà, di coraggio, di coerenza intellettuale, smascherando la vera ontologia dell’indifferenza che di innocente ha ben poco. Se oggi volessimo dare lustro alle sue idee, dovremmo unire le nostre forze verso l’emancipazione umana e non quella del capitale. C’è un cretinismo politico che ci fa lottare contro il fascismo o contro il comunismo, mentre il capitalismo finanziario si sfrega le mani , chi non lo capisce è in buona fede solo se non sta ragionando. Portare Gramsci all’altezza del nostro tempo vuol dire essere contro questo moderno turbocapitalismo e non certo più antifascisti. La violenza cambia forma nella storia, oggi il manganello e l’olio di ricino sono l’austerity, l’abbassamento dei salari, la distruzione della scuola pubblica, della sanità, i contratti precari e flessibili, l’innalzamento dell’età pensionabile. Le mode filosofiche non sono mai innocenti, è sempre lo spirito del tempo a vincere. C’è giovanilismo compulsivo perché ai giovani è vietato stabilizzarsi . E’ questa la prima generazione a trovarsi in una posizione sfavorevole rispetto ai padri. C’è la religione della merce perfetta, dell ‘Iphone. I giovani sono biologicamente aperti al futuro, rivoluzionare l’ordine delle cose è compito loro, ma il mantra dell’intrasformabilità è dogmatico, detta legge e da sempre la legge fonda il peccato, è lo stesso Paolo di Tarso a dirlo. Lo stesso ‘68 ha ipotecato il futuro di tutte le possibili rivoluzioni a venire ,il suo fallimento resta a paradigma dell’inemendabilità del mondo, dell’implosione delle rivoluzioni tout court. Kant dice che privare le generazioni del loro futuro è un crimine contro la natura umana, ma chi ha fatto la restaurazione senza passare dalla rivoluzione non può saperlo. La verità disse alla falsità :” tu potrai anche anticiparmi, ma io ti raggiungerò sempre . Abbiamo perso di vista che l’incoronante di qualsiasi fare umano è la verità, la stessa morale senza verità è derubricata a legalismo . E’ la posizione critica che ci fa muovere, quella morale ci inchioda al rispetto delle regole anche quando valgono meno della dignità umana.
Le ultime parole del Nuovo Testamento sono :” Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato? Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito “. Tutto è compiuto!
Certo a volerne tener conto resta difficile poi credere nelle nostre potenzialità. Non era certo per ingenuità che Marx chiamava tutto questo : “ l’oppio dei popoli “. La falsa coscienza è ciò che ci permette di sopravvivere alla rinuncia di noi stessi, ma se non la interroghiamo non lo sapremo mai.
ANNA FERRARO