Un pensatore riesce ad essere radicale quando tenta di smontare i concetti stereotipati a favore della verità. La filosofia si può fare anche nei romanzi, nella narrativa, nel giornalismo , non è confinata nei manuali , investe la nostra vita più di ogni altra cosa. Noi non possiamo non essere pensiero, è su questa spinta che dovremmo rivendicare la necessità della verità. Al pensiero non serve essere bello, giusto , alto, questi sono i suoi attributi : solo se è vero è pensiero , solo la verità lo fa essere sé stesso, altrimenti è doxa, opinione, inautenticità. La chiacchiera del modernismo serve proprio ad allontanarci da noi stessi, il convitato di pietra che lo dice è sempre eluso per sua natura ,altrimenti non sarebbe così facile mandare in porto la guerra tra poveri che sentiamo tutti ma che poi nessuno codifica nel reale, non quelli che avrebbero urgenza di farlo. Tutti hanno paura che la vita finisca, ma nessuno teme di sprecarla per non averla vissuta per la sua autenticità .C’è una preoccupante tendenza a ridurre spazi di libera espressione, è vero che la nostra società è dotata di buoni anticorpi a questo, o dovrebbe esserlo, ma sembrava così anche per i diritti sociali guadagnati in tanti anni di lotte sindacali e persi in un giro di boa . Cominciò Bertinotti a picconare la scala mobile, sembra generasse inflazione; i progressisti inseguiranno infatti un falso progresso che guarderà all’emancipazione del capitale e non a quella dell’uomo. Sicuramente le condizioni degli operai moderni ,per certi versi, sono migliori di quelle degli operai di Manchester a cui guardava Marx ; ma quella era una classe sociale consapevole del suo dramma ma anche della sua forza, contava su una solidarietà che non solo rendeva più sopportabile condizioni di vita durissime, perché condivise, ma dava loro la potenza del numero , l’idea di poter lottare contro un potere che in questo modo restava costretto all’altro piatto della bilancia, per quanto più pesante . Non c’era la rassegnazione del lavoratore moderno ridotto a monade, ad atomo lobotomizzato, ad individuo robinsoniano incapace di condividere una condizione di vita difficile, anche perché percepita come motivo di vergogna, un demerito personale, una mancanza d’intraprendenza . Non a caso va tanto di moda la meritocrazia in un mondo dove le diseguaglianze sociali si acutizzano, è un ossimoro . La stampa potrebbe fare molto per uscire dalla retorica del “ i giovani non vogliono lavorare, i ristoranti sono sempre pieni, la colpa del mancato lavoro per gli italiani è degli immigrati, il reddito di cittadinanza ha prodotto mero assistenzialismo ecc. ecc. “. Chi scrive , per poter dire la verità, non deve essere ricattabile, così come non dovrebbe esserlo il politico di cui scrive. Il ricatto si fonda sulla menzogna, si è ricattabili solo se si può dire qualcosa di noi che non vorremmo far sapere. Gramsci era un delinquente per il potere fascista, lo fanno finire in carcere, ma lo erano anche i carbonari per il potere del tempo. Chi stabilisce che i rivoltosi sono terroristi o rivoluzionari ? Il punto di vista legittima tutto , è ipostasi della nuova verità. La stessa rivoluzione digitale ci ha cambiato profondamente, c’è un like di ritorno che ci gratifica , che sembra essere il fine ultimo di chi scrive. Così però io non racconto più per “la cosa “ in sé, ma per me. La cultura è fatta di cose popolari e di cose di nicchia, da sempre; la nicchia però sta sparendo, anche in TV i programmi sono tutti format di scala mondiale, gli stessi giornali dicono tutti la stessa cosa e lo fanno usando le stesse parole. Come a dire che la riflessione non c’è più, c’è solo la gratificazione, sia essa quella morale del like, sia quella economica della parcella. Il senso critico ha bisogno di tempo che oggi è esso stesso denaro. Il problema non è tanto il grado di moralità del giornalista, c’è dietro un’enorme operazione iniziata negli anni ‘70 in America. Gli americani si resero conto di aver perso la guerra in Vietnam perché avevano perso la loro immagine di portatori di pace : l’opinione pubblica li aveva già condannati. L’America la guerra non l’aveva persa sul campo di battaglia, ma nella comunicazione. Lì parte la programmazione del nuovo giornalismo . I giornalisti per poter pubblicare hanno bisogno d’informazioni, si va a caccia di notizie, c’è difficoltà a reperirne, una sorta di resistenza da parte del potere. Col nuovo sistema , le informazioni fino ad allora nascoste, o quantomeno il tentativo di renderle poco accessibili, avranno un cambio strutturale di 360 gradi : le notizie si sbattono in faccia ai giornalisti per limare i denti alle belve feroci. Hanno cominciato a sfamarli dalla gabbia, facendo perdere loro il fiuto di cacciatori ,quell’istinto necessario a quello che era un mestiere e non un lavoro come un altro. Le fonti adesso sono sempre aperte, sempre ufficiali, ci sono agenzie che nascono come funghi per l’occasione. Tutti possono accedere ad esse. Ormai le migliori inchieste vengono fatte dalle fonti ufficiali, a partire dal sito del Pentagono, le fonti sono tutte pubbliche e facilmente accessibili. Oggi i giornalisti sono bravissimi tecnici, ma non sanno più andare a caccia di notizie senza passare dalle fonti previste, scontate, dove la notizia è già precostituita, va solo incartata. Il contenuto è già tutto lì, i più bravi aggiungono un registro semantico proprio, ma senza mai uscire dalle parole chiavi. Spesso i fatti sono stravolti nella loro verità ; non è cosa difficile, perché il fatto coincide con se stesso solo nel momento in cui accade, dopo diventa più o meno manipolabile quasi come ciò che non è mai accaduto se non nella volontà di chi trasforma un nulla di fatto in un fatto possibile fino a farlo diventare concreto. Cos’è una fake news se non questo. C’è una tecnicizzazione esasperata per cui il mestiere del giornalista è facilmente sostituibile dall’intelligenza artificiale (AI): La più grande agenzia di stampa del mondo, L’Associated Press, confeziona l’80% dei suoi articoli grazie all’uso dell’ AI , perché il giornalista che fa solo copia incolla della notizia è facilmente sostituibile. Esistono agenzie di comunicazioni che creano il nostro immaginario, lavorano sul nostro linguaggio, fino a cambiare il corso della storia attraverso l’uso delle parole. Il linguaggio è performante, le persone pensano come parlano, più parole conosciamo più pensieri siamo in grado di articolare , ma questo è come dire che le parole foggiano il nostro modo di nominare le cose, di pensarle in un certo modo piuttosto che in un altro. Attraverso un meccanismo complesso, si è introdotto neologismi a sostegno del pensiero unico , che al confronto la distopia di Orwell è quasi una visione tranquilla ;chi come me parla di totalitarismo del sistema capitalista, o di pensiero unico imperante è tacciato di complottismo. Prima del 2001 la parola complottista non esisteva nel vocabolario. C’era complotto, complottare, ma non complottista. Gli si è dato un significato specifico per poter sostenere un registro semantico comune, su cui appoggiare una nuova visione del pensiero stesso. E’ come se ci avessero fornito solo la cornice e noi avessimo messo il quadro senza contezza di dipingere a mano guidata. La manipolazione c’è ma è dissimulata, non la vediamo e nel mondo dei concretisti ciò che non si vede non c’è. Questo ne fa una parola potentissima, la crediamo pensata da noi, ma evoca in realtà un retropensiero studiato col righello, per poter metter su una struttura concettuale che tenga al perbenismo molto più che alla verità, l’hanno chiamata politicamente corretto proprio per rendere scorretto tutto ciò che non la legittima,passandolo come eversivo , come non allineato, come poco elegante , come complottistico. Il complottista di fatto crede in cose non reali, si fa abbindolare e poi cerca di abbindolare gli altri. E’ pericoloso ,depista le menti. Quando noi spegniamo il nostro cervello facciamo un atto politico in realtà, la libertà di parola in democrazia è fondamentale , è ciò che ci fa dire di essere veramente democratici, ma persino questa che è un’evidenza, se manipolata può diventare una falsa idea. In realtà anche in una dittatura, se mi chiudo in una stanza posso di fatto gridare a squarciagola contro il regime; in democrazia la libertà di parola, se non c’è nessuno ad ascoltarla non sposta nulla , eppure le nostre leggi si basano tutte sul diritto di parola, come se di per se significasse libertà. I dissidenti non li licenziamo più di tanto, di certo non li arrestiamo più ( se non in qualche caso estremo ) e non li uccidiamo, li rendiamo solo inascoltabili screditandone la postura utopica ,visto che chi non accetta l’inemendabilità del nuovo mondo è talmente in minoranza da essere più ridicolo che pericoloso per il sistema. Dire balle non è un reato, a meno che non si offenda pesantemente qualcuno, non è un reato dire che la terra è piatta, sono falsità che si lasciano passare a sostegno delle notizie certe, che in questo modo acquistano anche verità oltre che ufficialità. Così che, se io contesto il potere con quello che ho detto, ho sempre torto. L’informazione ufficiale è il sacro, una parola a garanzia dell’intoccabile, tanto da mettere timore , i tabernacoli di solito sono chiusi, sono pochissime le occasioni in cui possiamo sbirciare cosa ci sia dentro .La parola sacro è indoeuropea ed è tradotta con separato, è uno scenario dove Dio è arrivato molto tardi, era riferita a una potenza così superiore all’uomo che veniva posta in una regione alta, ma come tutto ciò che oltrepassa l’umano è ambivalente, fa paura perché non dominabile, perché significa tutto e il suo contrario, perché non è codificabile , per questo lo teniamo separato, per questo lo temiamo. Il sacro è Dioniso e Apollo , il bene e il male, non c’è solo il valore taumaturgico attribuitogli dall’assiologia. Il sacro non è la verità, è un contenuto che assume la forma di chi lo guarda. Senza timore reverenziale è un attimo che diventa profano. Il New York Times è di quanto più sacro ci sia nel giornalismo, in Italia l’ufficialità assoluta è forse del Corriere Della Sera : non è la verità dei loro contenuti a sacralizzarli, ma è la loro forma a sacralizzare il contenuto. Con la filosofia si mette in discussione il fenomeno, ciò che appare, quindi oggi filosofare significa essere additati massimamente di complottismo. E’ormai lo strumento più in auge per screditare l’interlocutore, per neutralizzare la testa pensante; tutte le ermeneutiche fuori dal coro vengono silenziate come complottiste , tutto è da assumere così com’è. Le parole sono dispositivi politici veri e propri che possono cambiare le nostre mappe cognitive. I no global, negazionisti, terrapiattisti, complottisti, sono tutti termini creati a tavolino e messi in circolazione con un meccanismo persuasivo che gioca con i nostri bisogni più di quanto faccia con la nostra ragione. Dai neologismi sparati sul mercato globale sono nate vere e proprie categorie umane. I terrapiattisti esistono, i complottisti esistono, i negazionisti esistono .Come si fa a non voler vedere nel linguaggio l’enorme potenza che ha , non è solo persuasione. è performatività. La storia racconta che da sempre qualche profeta disobbediente sia riuscito a trovare un varco per passare in qualche modo alla censura del pensiero predominante, il sistema del capitale però è quanto di più globale ci sia mai stato sulla terra, nemmeno” 1984” di orwelliana memoria che ammonisce contro ogni forma di totalitarismo, di falsificazione della realtà corrotta dai mezzi d’informazione , inchioda il protagonista alla sola impossibilità di evasione , l’incontro con Julia concretizzerà la sua ribellione ,farà sperare tutti noi in una via d’uscita. Certo non durerà molto , la globalità soffoca, come tutto ciò che è negativo, sarà solo un’illusione , non finirà bene come sempre desideriamo finisca, quando col fiato sospeso leggiamo le ultime pagine di quei libri in cui abbiamo trovato spazio per noi stessi, per la nostra vita e proviamo fino all’ultimo ad indirizzare le scelte del protagonista come se fosse possibile, come se il finale non fosse già scritto. Il romanzo si concluderà con la resa totale del protagonista Winston Smith che subisce un memorabile lavaggio del cervello che lo renderà impermeabile a qualsiasi tentativo di eversione dal sistema . Un sistema che vuole essere globale produce una reale assoggettazione alle sue istanze ,per cui quello che ci appare giusto o vero è soltanto ciò che è giusto e ciò che è vero per quel contesto inautentico. Ci vuole una mente educata per ascoltare un pensiero diverso da quello proprio, e già quell’ascoltare è sintomo di rara generosità in un mondo dove al massimo abbiamo il tempo per registrare, per catalogare quello che ci viene detto , ascoltare richiede cura, attenzione, trasporto , forse persino empatia . E’ tempo prezioso che abbiamo sottratto a noi stessi non all’altro : lo scatto di instagram è il solo tempo che ci rimane per guardarci. Socrate è il patriarca dell’IO pensante, per questo il potere lo mette a morte, ci ha insegnato che- quello che si è- è da costruire non da diventare . Le comunità umane si sono costruite sulla forza, sulla schiavitù, sulle gerarchie, tutte queste lacrime e sangue sono dietro di noi, ci costituiscono . Socrate è la soglia di una rivoluzione mondiale, c’è un mondo prima di Socrate e un mondo dopo Socrate, che chiede di una nuova identità umana, mette in crisi la sua stessa civiltà per amore della verità. Bisogna capire chi è l’uomo nuovo, fare filosofia è fondamentalmente chiedersi questo, è continuamente domandarsi chi sono io, che cos’è la vita e come fare per renderla più dignitosa, più pacifica, più generosa. Forse nessuna risposta potrà mai contenere questa domanda, ma è l’unica postura possibile per l’uomo che pensa , e che scorge in questo reale una condizione umana in cui quella vulnerabilità di cui quasi ci facevamo vanto perché cifra importante del nostro essere umani ,oggi è massimamente messa alla prova come fosse una debolezza per gente senza pudore, senza coraggio per poter imitare i grandi uomini di successo del nuovo mondo turbocapitalistico, quelli che hanno messo a punto una nuova etica , quella della volontà di potenza a cui ormai la vecchia onestà non può che inchinarsi.
Già Pasolini avvertiva il disagio di dirsi onesto, ma sempre gli avanguardisti pagano prima di tutti gli altri . C’è un immenso che non riusciremo mai a costringere in una nostra possibile visuale, ma è proprio questo a darci la patente di dissacratori,è proprio questo che deve indurci a cercare, deve farci indignare contro il potere e i suoi discutibili personaggi . Queste posture fanno parte della nostra coscienza, sono già tutte nel materiale primigenio della filosofia, le abbiamo assimilate, le abbiamo masticate anche a nostra insaputa, ci costituiscono,non possiamo rinunciarci pur volendo, dobbiamo capire chi è l’uomo nuovo, la paternità non si sceglie e noi siamo figli di Socrate.
ANNA FERRARO