Oggi è raro incontrare persone che credono di possedere la verità ; ci confrontiamo invece costantemente con quelli che sono sicuri di avere ragione . Ma chi sono quelli che sono sicuri di avere ragione? Sono quelli a cui della verità non importa nulla, importa solo della loro vittoria. Come smentire Hannah Arendt- solo se ami la verità più di te stesso , saperla ti è indispensabile tanto da bucare da dentro quel “ aver ragione “ -che si svuota della necessità che sembrava costituirlo. Questa società è anestetizzata al sapere, c’è una realtà tecnocratica che ci rende soggetti passivi. La tecnica è un tema difficile da perlustrare, la sua essenza non è tecnica ma metafisica: è un preciso sguardo sul mondo, che pensa tutti gli enti come disponibili, nulla resta intoccabile. Questo ci rende sempre più superflui, come se la verità potesse esaurirsi nel calcolo dell’intelligenza artificiale , come se non riguardasse quella totalità, quell’intero che sfugge alla scienza , ma non perché essa non se ne avveda, ma perché è proprio grazie a questa rinuncia che riesce poi in questa specializzazione selvaggia che la fa essere più prepotente che potente , che le conferisce più certezze che verità. Petrarca nel “300 dice che- la grande poesia latina ci fa amare la verità, Aristotele può solo farcela conoscere-. Il pensiero umano è molto di più del calcolo scientifico, possiede la forza dell’amore, che non va confinato in un sentimento ma è il fondamentale canale cognitivo per porsi in ascolto della verità. Certo che l’uomo moderno non sembra avere più orecchio per questo, c’è un fondamento ontologico, neoliberale che guarda il mondo come intrasformabile, che ci suggerisce di cambiare noi stessi in mancanza di alternativa . Il nostro sapere, il nostro essere civili, il nostro essere democratici , non ci fa mai sentire veramente a casa, non è mai qualcosa di acquisito una volta per tutte. Tutto ciò che edifichiamo , tutto ciò che costruiamo , non saranno mai vere e proprie dimore ,mancheranno sempre di un ordine stabile , tendiamo a dimenticare il passato e a non scorgere più nessun futuro. Sentiamo di vivere in una crisi perenne, che sembra essere ciò che più caratterizza il contemporaneo. Il termine catastrofe sta per fine di uno stato, fine di datità. Anche i meno attenti avvertono che un ordine di cose si va dissolvendo, le forme di un certo periodo storico si vanno destrutturando. La fine delle guerre mondiali segna la catastrofe del mondo precedente , aprendo a un nuovo ordine con cui noi occidentali abbiamo fatto i conti fino a qualche decennio fa. La fine della guerra fredda innesca un processo che condurrà a un nuovo mutamento dello status quo. Dalla catastrofe dell’ Unione Sovietica è venuto fuori un nuovo ordine mondiale. Era andato in crisi un intero sistema vita, anche se ancora non c’era un metro di misura per riuscire a cogliere i cambiamenti epocali ancora in potenza. Da occidentali non possiamo non prevedere, ha iniziato Prometeo 2500 anni fa, è costitutivo al nostro genoma. Siamo caratterizzati dall’ossessione del futuro. Dal tempo ciclico dei greci a quello escatologico dei cristiani, in cui non c’è più peggioramento ma l’avvicinarsi allo scopo che da senso al tutto, fino all’oltreuomo che si da dei fini finiti, che però danno sempre meno senso alla nostra esistenza. Viviamo di possibilità in possibilità, senza avere contezza che il possibile non è una realtà fattuale, ma qualcosa che è sempre in potenza, mai in atto. C’è diffusione di cultura più di sempre, eppure avvertiamo anche tanta stupidità, com’è possibile? Il cammino dell’umanità sembra stare in quello scarto tra la catastrofe e i conseguenti atti fondativi di nuovi ordini . Più profonda è la crisi più ampio sarà il cambiamento. E’ in seguito ad una catastrofe epocale che nasce la nostra lingua dal De vulgari eloquentia. Dante si troverà a doversi inventare un nuovo vocabolario che possa dire della trasformazione sociale in atto . Formazione dei Comuni, rapporti tra Chiesa e Impero, lo obbligano alla costruzione di un nuovo registro semantico. Nulla che precede Dante è paragonabile alla potenza della lingua della sua Commedia, che è Divina anche per questo. Anche noi viviamo in una crisi molto radicale, anche noi combattiamo ogni giorno con parole nuove e vecchie in cui le cose camminano spostandone il significato. C’è una vera e propria contaminazione di idiomi, di segni, d’icone, che vanno delineando una lingua globale. Le influenze, queste continue aperture, ci riporteranno in una selva oscura ? O tutto questo è il progresso in cui bisogna sperare? E’ già complicato stare nella domanda, figuriamoci azzardare una risposta. Tenere ferme le identità in un mondo così globalizzato è veramente difficile. La nostra lingua sta diventando un collage, usiamo tanti anglismi, francesismi, ma è questa l’evoluzione? E’ questo che ci farà migliorare? La catastrofe ambientale è figlia della stessa crisi, senza cambiare modello di sviluppo come fai a cambiare il mondo? Il pericolo resta dell’uomo, non è certo il pianeta ad avere la peggio . Noi siamo progressisti per natura, fermarci è difficile, ma lo scopo di produrre danni irreparabili alla nostra specie va perseguito con urgenza . Qualche tentativo lo vediamo, ci sono tanti comitati bio etici , ma questo sforzo andrebbe sostenuto in maniera più credibile o quantomeno in modo meno fallimentare di quanto stiamo facendo. Il futuro è quintessenziale alla vita delle giovani generazioni, Fukuyama, con la fine della storia, brucia le ultime certezze rimaste, i ragazzi dovranno proseguire da soli, non c’è una guida ad aiutarli, non c’è più Virgilio ad accompagnarli nei sentieri impervi . Sono in tanti a dire che Fukuyama abbia detto tante stupidaggini, ma lo ha fatto in inglese, è quanto basta ad avere successo. La realtà è complessa, non possiamo semplificare il nostro pensiero, non potrebbe essere, così messo, all’altezza del nostro tempo. Nei momenti di crisi , i diritti si vanno riducendo, come sempre col disordine, ma questa è una cosa che andrebbe contrastata con intelligenza, non facendo l’utopista, ma stando sui problemi veri con onestà intellettuale. Senza fare finta che il nostro dramma sia il blocco navale, la maternità surrogata, o le feste di compleanno con più di 60 persone. Per poterci dire contemporanei dobbiamo essere in grado di masticarla questa complessità, per poterla governare bene; i politici ne favoriscono la mancata digestione, senza riuscire a traghettarci verso un nuovo stato di diritti. La fratellanza può venire solo dal sentimento, dall’etos, non certo dalla libertà , che ontologicamente le è nemica, anche se resta la parola che strappa più applausi di tutte. L’ordine va cercato, è su questo che dobbiamo stare tutti, va cercata una possibilità di riuscita, senza caricarci di troppe pretese, ma neanche di troppo pessimismo, per riuscire ad essere quella auspicabile opinione pubblica che riesce a spostare l’agenda politica del paese. L’ottimista non è chi si gira dall’altra parte, convincendosi di vivere in un benessere che non si è mai visto prima; ma è chi decide per una postura che metta a nudo i veri problemi di questa profonda crisi, in cui sta annegando la nostra democrazia, ma non per piangerci addosso, ma per poter cercare insieme una possibile alternativa.
“ Coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi, da quelli che non potevano sentire la musica”
C’è una certa filosofia , molto impegnativa per il senso comune, che mostra che L’ESSERE è ,non si fa, e che ciò che noi chiamiamo libertà è solo volontà che crede di poter agire sull’essere ,proprio perché non può. Certo che questo significa che il nostro dire ma anche il nostro fare non hanno valenza alcuna , non hanno significato alcuno , ma noi non possiamo non essere volontà , malgrado questo sapere , per cui tutto andrà come deve andare , per necessità . Non è questo un pensiero come un altro, non è una filosofia come un’altra, è qualcosa che estirpa quel germe nichilista che Platone ha innescato a fondamento della logica occidentale e che tutta la storia della filosofia non era più riuscita a rimuovere , nonostante fosse quello il suo scopo fondamentale. Tutto ciò che prova a negare questo pensiero si autonega , perché per poterlo contrastare lo deve sussumere implicitamente. Sembra essere, il suo, un compito d’oltre filosofia , nessun pensiero l’ha pensata, si è imposta da sola con l’anapoditticità della verità assoluta, a una mente che lasciava aperte le porte all’impossibile. Quella è la verità a cui ogni uomo non può rinunciare, se non vuole essere cosa tra le cose. Quello che osserviamo non è quello che è , ma solo ciò che riesce a porsi al nostro metodo di interrogazione . Accennare a questa filosofia produce equivoci, le sue strutture concettuali sono molto complesse, per cui è facile svilirla in dogmi o addirittura in fantasia, ma l’uomo non è nuovo all’oltrepassamento delle Colonne d’Ercole, certo il mendicante che siamo le teme, ma il re che gli fa eco sa che è nel buio che deve guardare con disobbedienza e avventatezza .
Anna Ferraro