E’ la novella sindrome fobica che alla vigilia di questa tornata elettorale si è impadronita di tanti illustri candidabili che avrebbero potuto sicuramente dare un valido contributo di ricostruzione ad una città martoriata nel fisico e nello spirito.
Una sindrome che ha contribuito ad accentuare convinzioni da “prima donna” che, come nelle riviste di avanspettacolo degli anni di inizio ‘900, erano gelose di qualunque altra ballerina che potesse oscurare la loro figura. Reagivano allora con comportamenti capricciosi ricattando gli impresari se il loro nome non sovrastava quello di tutti gli altri nelle varie locandine pubblicitarie.
Ma questa è storia da “belle epoque”.
Fino a qualche anno fa si aveva paura di “esporsi” contro quelli che si presumevano vincitori: se ne temevano le più assurde ritorsioni, in effetti mai potute attuarsi verso chi aveva gli attributi per potersene “strafottere”, ma era un modo per continuare a farli vincere. Era un palese segno di viltà.
In effetti la odierna paura di combattere per non perdere, lo dicevo prima, è legata maggiormente alla “immagine di sé”, al timore che possa uscire scalfita se si perde, è il trionfo della vanagloria che si antepone allo specifico tentativo di cambiare tantissime cose fatte male nel passato e che potrebbero essere rifatte ancora peggiori nel futuro.
La viltà si trasforma allora in passiva acquiescenza, in un “tira a campare” nel quale non metto in gioco la mia figura, magari riservandomi di spenderla in situazioni più facili e consone; e questo lo chiamereste “coraggio”?
Cosa c’è di più bello che, pur avendo perduto, andarsene in giro con la testa alta, sicuri che nessuna illazione potrà mai colpirti perché hai avuto la forza di “metterti i gioco”, difendendo e diffondendo le “tue”idee e non paventando alcunché ?
“Nessun pugna per te? Non ti difende
nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo
combatterò, procomberò sol io!”
Cantava nella sua “Ode all’Italia” il grande Giacomo Leopardi, distrutto nel fisico e nello spirito da “sette anni di studio matto e disperatissimo”, costretto a vivere “intra una gente zotica, vil”.
Quella gente che non poteva comprenderne il genio poetico e gli alti ideali, ma solo perché non ne aveva le capacità.
Si combatte per una idea, non per la vanagloria.
Credete che Sandro Pertini rinchiuso nelle carceri fasciste, o Gandhi, umiliato e perseguitato dagli inglesi, o Nelson Mandela, imprigionato per il colore della sua pelle dalla dominante “apartheid” sudafricana, avessero mai smesso di pensare al trionfo delle loro idee? La Storia, la Storia ha dato a loro e tanti altri il dovuto sacro riconoscimento!
E’ “l’idea” che fortifica e nobilita! Non la speranza di fare il “sindaco” di Teano!!!!
Come affermava Giosuè Carducci quando, riferendone la nobile figura, nell’ode dedicata a Giuseppe Mazzini, così lo descriveva:
“Esule antico, al ciel mite e severo
leva ora il volto che giammai non rise,
-Tu sol- pensando – o ideal, sei vero”
Più su ne aveva riportato l’azione ed i suoi risultati:
“Co’l cuor di Gracco ed il pensier di Dante
vide la terza Italia: e con le luci fise
a lei trasse per mezzo un cimitero,
e un popol morto dietro a lui si mise”.
Giuseppe Mazzini, duecento anni fa, aveva immaginato l’Italia Unita, libera e repubblicana, e, cosa ancor più strabiliante per quei tempi, aveva preconizzato l’ Europa Unita.
Claudio Gliottone