Dalle ultime ricerche condotte dal prof. Giuseppe Angelone, della Seconda
Università di Napoli, si evidenzia quanto la strage di Conca della Campania, per
tutta una serie di singolarità, rappresenti un salto di qualità nelle modalità di
risposta armata ad episodi di ribellione civile. Un modus operandi che anticiperà
una pratica che vedremo poi applicata in maniera ancor più radicale nelle ben note
vicende delle Fosse Ardeatine e, più in generale, in molti degli eccidi dell’Italia
centro-settentrionale.
Attraverso una vicenda apparentemente locale, il documentario apre uno
squarcio sulle origini di quel processo degenerativo che trasformò l’occupazione
militare italiana in una sanguinosa guerra ai civili.
Ma i casertani non furono solo vittime. Un altro capitolo misconosciuto è
quello delle “resistenze” attivate dalla popolazione locale. In Campania, nel
breve periodo dell’occupazione tedesca, si verificarono veri e propri momenti
d’insurrezione popolare. Oltre a Napoli, quindi, impugnarono le armi contro i
tedeschi gli abitanti di Acerra, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Riardo. Numerosi
furono gli episodi di sabotaggio e disubbidienza civile. Un caso su tutti è quello
di Tora e Piccilli. Un piccolo comune a pochi chilometri da Cassino nel quale la
popolazione, mettendo a rischio la propria vita, mise in salvo eroicamente una
piccola comunità di ebrei napoletani confinati in paese dal 1942.
In merito alle “resistenze” attivate dai civili in Terra di Lavoro c’è un
filo rosso che lega tutti gli episodi: la partecipazione di gruppi di combattenti
molto eterogenei (giovani, uomini, donne, contadini, borghesi, ecc.), che diedero
alla “Resistenza meridionale” quel carattere di guerriglia che la rende unica nel
suo genere. Fu lo storico Giuseppe Capobianco, negli anni Ottanta, a formulare
la definizione di “Laboratorio della Resistenza”, in riferimento ai molti casi
d’insurrezione popolare avvenuti in provincia di Caserta.
Quando la guerra finisce, i vertici militari nazisti cadono nelle mani degli
Alleati e vengono perseguiti e condannati a Norimberga. A molti dei criminali di
guerra, autori di decine di eccidi in Italia, non toccherà la stessa sorte. Delle
stragi in Terra di Lavoro, come di molte altre, non si avrà traccia alcuna fino
al 1994 quando viene rinvenuto il tristemente famoso “Armadio della Vergogna”.
Se per i casi più noti dell’Italia centrosettentrionale, nel dopoguerra e, più
incisivamente, dal 1994 in poi, si sono avviate indagini e processi, alcuni dei
quali arrivati a sentenza definitiva, poco o nulla è stato fatto per le stragi
in Terra di Lavoro. Unico caso a vedere istruito un processo che condurrà ad una
condanna definitiva fu quello per l’eccidio di Caiazzo. Muovendosi ormai nella
prospettiva della “guerra fredda”, Stati Uniti e Gran Bretagna, appoggiati dal
governo italiano, caldeggiarono l’insabbiamento dei procedimenti.
Decine di eccidi nazisti, centinaia di vittime, intere comunità cacciate
dalle proprie abitazioni e costrette a vivere di stenti per settimane e un terzo
di tutti i deportati italiani nei campi di lavoro in Germania: questi alcuni dei
dati che, se aggregati, ci danno la cifra del dramma che investì la Terra di Lavoro
nell’autunno del ‘43 e ci forniscono nuovi elementi per un approfondimento sul
tema dello stragismo nazista italiano e sul concetto di Resistenza.
Una delle pagine più tragiche e meno conosciute della storia italiana e
dell’intero secondo conflitto mondiale che, assieme ad una storia della Resistenza
nel Mezzogiorno, sono cadute incomprensibilmente nell’oblio per più di 70 anni.