La storia non è esente da date scaramantiche; chi la conoscesse bene eviterebbe di convocare assemblee o pubblici dibattiti, ad esempio, il 15 marzo, data fatidica per il grande Giulio Cesare, o, nel caso di specie, il 25 luglio, data dell’ultimo Gran Consiglio del fascismo, che ne decretò la fine e segnò la caduta della dittatura di Mussolini. Così come il 5 maggio del 1789 la convocazione degli Stati Generali, quelli veri non quelli “a posticcio” (direbbe un mio amico non più tra noi) di Giuseppe Conte, costò poi caro a Luigi XVI di Francia; e, sempre strane coincidenze, il 5 maggio, ma stavolta del 1821, si spegneva, nella lontana isola di Sant’Elena, la vita di Napoleone Bonaparte, che dell’abbattimento dell’Ancien Régime, ma soprattutto della diffusione delle nuove idee nate dalla Rivoluzione, era stato “magna pars”.
Orbene, fatte le doverose proporzioni, dopo 8 mesi che non accadeva, il nostro Sindaco ha convocato un Consiglio Comunale proprio il 25 luglio, nonostante vagassero nell’aria pericolosi presagi di guerra. La fortuna del nostro Sindaco, ma certamente non la nostra, però, è consistita nel fatto che ai tavoli del Consiglio non sedessero Grandi, o Ciano, o Bottai, o De Bono, o Cesare Maria De Vecchi, uomini, cioè, che seppero alla fine prendere le distanze da un disastroso regime politico fino a pagare, alcuni di loro, con la vita il valoroso, pur se tardivo, gesto.
No. Attorno ai tavoli di Teano, lontani mille miglia da quelli di palazzo Venezia, sedevano Magellano, Compagnone, Balbo (ma non Italo) ed altri consiglieri “eversori”, ma solo a chiacchiere. Ed allora eversione non c’è stata, anzi il capogruppo del primo gruppo formatosi nel seno della maggioranza, il buon Franco Magellano, ha addirittura abbandonato il gruppo del quale era stato fondatore e capo per confluire nuovamente “tout court” nella maggioranza, lasciando sola la Compagnone, mentre la Balbo smentiva platealmente il nuovo gruppo a guida Palmiero, affermando di essere d’accordo sulle idee ma di non potervi aderire per motivi familiari perché “cugina” del capogruppo di maggioranza Landolfi. “E ho detto tutto”, avrebbe esclamato Peppino De Filippo nel film “Totò, Peppino e la Malafemmina”. E qui solo la adesione totale ai comandamenti dello stile grafico mi impediscono di far seguire il capoverso a dir poco da una ottantina di punti esclamativi. Ma fate conto che ce li abbia messi tutti, e date libera stura ai vostri pensieri, almeno quelli, tra di voi, che masticano un po’ di etica politica.
Non è mancata qualche diplomatica assenza, quella della consigliera Pentella, eletta all’opposizione nella lista Corbisiero, ma fin dal primo consiglio Comunale fatalmente attratta dalla maggioranza, nella quale si è trovata in epoca Covid, e dalla quale è stata sentimentalmente e tenacemente affascinata, fino a rimanere incollata alla poltrona di assessore.
Bello, chiaro e duro l’intervento del capogruppo dell’ultima formazione nata nella maggioranza, Nicola Palmiero, il quale ha, con coraggio e determinazione, spiattellato al sindaco tutti gli errori umani, politici e comportamentali da lui commessi in questi tormentati due anni di amministrazione, ma, alla fine, il massimo che han saputo fare è di astenersi su una proposta delle minoranze, ma votando a favore del consuntivo di bilancio. Robetta di poco coraggio!
Si sente a naso che, sicuramente anche in vista delle prossime elezioni regionali, è cominciata, da parte del sindaco e di tutto il suo entourage, una manovra di recupero ad ampio raggio. Le leve sono sempre le stesse: che vuoi fare, l’assessore? Ma ti faccio fare il vicesindaco e ti porto la nomina fino a casa (cosa realmente accaduta); che vuoi l’assessorato ai lavori pubblici? Ma potevi dirlo prima, qual è il problema? E tu volevi la delega ai cimiteri ed alla spazzatura, ma è cosa fatta. Ma a te ti faccio fare il Presidente del consiglio, l’assessore, il capo commissione, l’usciere e ti faccio pure spazzare le scale, tutto assieme! E se per te non è rimasto niente, non crucciarti: farai il Direttore del riaprendo ospedale. Come? Non hai i titoli? Ma te li regalo io, l’ho già fatto, che ci vuole! E tu “stai sereno”: sarai il factotum dirigenziale nella applicazione del PUC! Ma, ragazzi, come diceva Gianni Morandi, “dobbiamo stare uniti, dobbiamo fare squadra”: voi, noi, io, mia sorella e mia cugina! Viva l’Italia!
E nella cucina del grande chef scompaiono d’incanto “lès escargots à la bourguignonne” e ricompare il solito indigesto minestrone di cime di rape con aglio e cipolle: indigesto, ma salutare per tutti, soprattutto per i fessi che ci credono.
E l’etica politica è andata inevitabilmente a “farsi fottere”: quella che ebbe Palmiro Togliatti, referente italiano di Giuseppe Stalin, quando, nel 1946, Ministro della Giustizia nel primo governo De Gasperi, emanò la cosiddetta “amnistia Togliatti”, in segno di pacificazione tra gli italiani, per tutti quelli che si erano macchiati di delitti politici dopo l’8 settembre del 43; o quella di Antonio Segni, il futuro Presidente della repubblica, che nel 1950 fu sostenitore della “Riforma agraria”, che pur lo colpiva economicamente nei suoi grossi possedimenti in Sardegna.
Altri tempi, altri uomini, altre donne, ed altri sostenitori politici!
Ma sull’argomento ritorneremo, e lo sarà ancora, ahimè, per continuare a compiangerci, perché, stando così le cose, non potremmo fare altrimenti.
Claudio Gliottone