Ho sempre guardato alla “politica” come ad una forma di confronto di idee, pensate e tese esclusivamente a favorire lo sviluppo sociale, economico e culturale del popolo al quale si appartiene e, meglio, allargandone la visione, di tutta l’umanità. Essa è senz’altro irrinunciabile, perché movente anche di ogni sviluppo sia pur tecnologico, che potrebbe apparire, ad un esame molto superficiale, come risultato della sola scienza o della capacità creativa dell’uomo: esso, infatti si sviluppa sempre, perché connaturato alla natura umana, ma che si orienti verso il bene, anziché verso il male, dipende dalla politica, quella seria, s’intende. Anche durante e dopo ogni guerra, ad esempio, lo sviluppo tecnologico fa poderosi sbalzi in avanti, ma ad un prezzo esorbitante e sconvolgente.
Confronto di idee, quindi, con un unico obiettivo comune che ognuno intende raggiungere, magari privilegiando passaggi, tempi e modalità diverse: unico giudice di questo confronto sulle idee “politiche” di A, di B e di C, in un normale regime democratico liberale (e non popolare) è naturale che sia l’ oggetto di esse, cioè il popolo sovrano che si esprime tramite libere elezioni e dice a chiare lettere se preferisce il piano di A, di B o di C. Il tutto molto semplice, almeno all’apparenza.
Ma le cose si complicano inesorabilmente quando dietro le intenzioni finali, o soltanto dietro alle modalità per arrivare ad esse, cominciano a nascondersi altre finalità e interessi.
E questo non è detto che avvenga nell’animo o per decisione dei promotori primigeni di quella linea politica, ma molto più sovente perché ad essa si affiancano gruppi di pressione e di interessi che la inquinano e la deviano dal suo tragitto pulito e lineare. Per essere più chiari, mentre le finalità di ogni politica sono pressoché uguali per tutte, e cioè il benessere quanto più vasto del popolo, le modalità proposte per raggiungerlo differiscono notevolmente: ed è proprio nell’attuazione di queste modalità che si presenta, per interessi, per vanità, per ambizione, di singoli o di gruppi, o solo per loro manifesta incapacità di realizzare quanto promessosi, una devianza dall’obiettivo primo.
Per queste ultime cose nascono comportamenti abnormi dei gruppi politici, di quelli che vogliono restare aggrappati al potere, di quelli che temono il giudizio del popolo, di quelli che creano fantasmi e fole per screditare l’avversario, di quelli che sanno solo ingiuriare gli avversari, senza spiegarne i motivi, perché a volte nemmeno esistono, o perché si ha il timore che anch’essi vengano sottoposti ad un giudizio lucido da parte della gente. Ed ecco che allora vengono fuori gli imbecilli come il Professore Universitario (?) Gozzini che danno la stura ad eloqui da infima osteria del peggiore quartiere della peggiore suburra della nostra peggiore città portuale. Sono inenarrabili le parolacce e gli epiteti che questo becero individuo ha saputo sputare, attraverso un mezzo pubblico, sulla rappresentante ufficiale di un partito politico che rappresenta il 14 per cento degli elettori; ma non sarebbe ammissibile neanche se ne rappresentasse uno solo, di elettore. E soprattutto lei è una donna e lui dovrebbe essere un docente (?) pagato dallo Stato italiano per insegnare: che cosa? La maleducazione, la stizza, l’ira, l’astio, l’odio verso chi non condivide le sue idee? Ma non si vergogna profondamente di un comportamento incivile? Mi vergogno io, ma di lui, del suo senso antidemocratico, della sua essenza vacua e incapace di controbattere tesi su tesi, senza ricorrere al turpiloquio che offende, ad uno, la categoria dei politici, dei professori, dei docenti, degli uomini in quanto maschi, e dello spirito democratico di chi ancora, e non son pochi, lo possiedono?
Ha fatto bene Mattarella ad intervenire con tutta la sua autorevolezza: il fatto rappresenta una degenerazione pericolosa, una istigazione a comportamenti poco urbani, magari di quelli che la storia ci ha insegnato trovare facile concretizzazione nei manganelli e nell’olio di ricino, ma siccome provengono da altra parte politica, possono pure essere fatti con tranquillità.
Quando per la prima volta misi piede in un ateneo universitario mi colpì la cappa della cultura che aleggiava intorno, ma soprattutto la sensazione della sua “universalità”, incrociando studenti di tante nazioni e di tante etnie, accomunati da essa, dalla sua superiorità su tutte le umane miserie.
Oggi, mi rendo conto, avrei remore ad entrare anche in un asilo infantile.
Grazie a personaggi come il Prof. Gozzini.
Claudio Gliottone.